Roma. Taki Labò: il Ponente di Massimo Viglietti nel ristorante giapponese
Sono curiosa per questo nuovo progetto tra Taki e Massimo Viglietti a Roma. Nella sala, nera, è buio, a parte i faretti spot su un kaiten, nero anche questo, che si muove lento, sinuoso e ipnotico. Attesa. Dalle casse, schitarrate punk rock si frappongono tra i commensali, 15 in tutto, a prudente distanza. Attesa. Sguardi interrogativi e muti.
Ancora attesa. È elegante, l’insieme, e intrigante. Essenziale nei dettagli. I lacci di cuoio nero, le bacchette appuntite, sempre nere… Siamo da Taki, tra i ristoranti giapponesi top di Roma, d’accordo. Ma è una storia diversa quella che si racconta stasera, è il Massimo Viglietti Show, la performance libera e spregiudicata dello chef ligure da quando è arrivato a Roma 5 anni fa. E ci tiene a precisarlo.
Lo show di Massimo Viglietti
Yukari Vitti e suo marito Onorio, i proprietari del locale “gli hanno lasciato mano libera“, mi spiega “finalmente scopriremo chi è davvero Viglietti“, un’esperienza mai provata prima, promette. Neppure quando aveva la stella Michelin (da Achilli al Parlamento).
Il progetto si chiama Taki Labo’, e nasce come l’anteprima di Taki Off, uno spin off ‘contaminato’ della più pura cucina giapponese di Taki, in via di realizzazione. Ma nella realtà è un esperimento sociale di cucina erotica pervasa da un immaginario fetish, dove il potere è nelle mani di uno solo, e non è chi si siede a mangiare. Ma questo all’inizio non lo sapevo…
Come funziona Taki Labo’
Si apre una porticina e saluto con sollievo lo champagne Grande Reserve di Achille Princier, vigneron di Epernay: visto che non ho voce in capitolo nemmeno sul bere, la bollicina è un bell’inizio. Taki Labo’ è un’esperienza pensata come una full immersion nel Viglietti-pensiero, siamo una platea di astanti, il fatto di dover mangiare e deglutire è condizione necessaria e quindi tollerata. E’ sempre sua l’ultima parola, anzi, l’ultimo atto nel piatto.
Non c’è il menu. Qui comanda lui. Se potesse ci legherebbe alla sedia, con nodi raffinati e scomodi. Se potesse ci imboccherebbe anche, probabilmente. Ci direbbe cosa quando e come mangiare quello che ci viene messo inesorabilmente davanti. Che sia il consommé (con la moka, naturalmente) obbligatorio per annegare il minimalismo pop di un tuorlo solitario da abbinare ai gyoza ripieni (superlativi), o il gesto giocosamente sadico di venire a spremere con le mani la testa di gambero per spruzzarne il liquame sulla tartare di manzo con gambero, tapenade di olive e yogurt (in apertura). Peraltro già ottima senza quell’aggiunta efferata.
In un susseguirsi sacrale escono piatti che non riconosco, che non hanno un nome, ma un elenco di ingredienti, che non si rifanno a tradizioni, culture, rivisitazioni, e tuttavia fanno risuonare corde profonde.
Bella la suspense della scatola di lacca nera, da aprire al suo cenno: contiene l’ottima anguilla arrostita con crema parmentier e la mela verde, tra i piatti che ho apprezzato di più, insieme agli spaghetti di patate con cubetti di baccalà e ricci di mare.
Probabilmente perché più riconoscibile, ma l’abbinamento dei ricci con il caffè (qui in mousse) è tra i miei preferiti.
Richiama espressamente il Giappone (ed è voluto come omaggio a Yukari) il piatto successivo: gli spaghetti di soba freddi con salicornia in tempura, sardine leggermente affumicate, salsa bernese e un ovulo che più perfetto è difficile. Il tutto annaffiato da un brodo di ovulo, spalma, ingloba e amalgama sapori e consistenze.
Quanto costa Taki Labo’
10 portate a 130 euro oppure 6 per 90, compreso il pairing con le bevande, è la scelta concessa, e nulla più. Sono piatti che non rassicurano, ma interrogano. Rimescolano nel profondo di sensazioni di cui non è educato parlare a tavola, provocano, infastidiscono, stupiscono.
Piatti che richiamano uno stato primordiale fatto di predatori e prede, una sorta di piramide sociale in cui lui – lo chef – è all’apice, noi al centro, e le pietanze di carne e pesce che si susseguono, alla base. Carni rosee e crude, crostacei sgusciati umidi e turgidi, aggrovigliamenti umettati, cremosità e allusioni.
Con il dessert tutto diventa esplicito, i richiami all’eros primordiale diventano visivi nella banana, cioccolato bianco, frolla salata e caviale impiattato in modo da lasciare assai poco all’immaginazione. Ispirato a Jean Paul Gaultier, è la versione ufficiale, ma la mia mente va subito a certi tagli di Fontana…
Anche con il secondo, il “gambero Suzette, gelato al tè verde, crumble salato e yuzu” la nudità del gambero da un lato e il sorbetto al tè verde distanti e immobili, lo sciroppo di yuzu a bagnare il fondo del piatto, è come dire ‘tutto è compiuto’, siamo pronti per tornare alla nostra normalità.
Taki Labo’ è il sogno di una notte di mezza estate, è un rito iniziatico dai richiami erotici di cui Massimo Viglietti è il Gran Maestro e che si consuma a tavola. E’ la celebrazione di una cosmogonia di cui lui è il supremo demiurgo. Colui che dal caos crea l’ordine, quell'”ordo ab chao“, che è anche il marchio sul suo braccio destro.
Non si va da Taki Labo’ per andare a cena fuori. Ci si va per avere qualcosa da raccontare.
Taki Labo’. Via Marianna Dionigi, 56. Roma. Tel. +39063201750