Qualità e prezzo: ottime ragioni per mangiare da Spazio di Niko Romito a Roma
Niko Romito è sbarcato con Spazio a Roma all’ultimo piano di Eataly.
Non è il ristorante Reale, tre stelle Michelin, ma il figlio nobile dell’avventura imprenditoriale di questo chef abruzzese che ha realizzato CasaDonna a Castel di Sangro.
Spazio è un ristorante format che nasce dalla scuola di formazione di Niko Romito. Prima a Rivisondoli (sua base naturale nei locali di quello che era il Reale), poi a Salina e ora a Roma.
E cosa prevede questo format?
Lo dice il manifesto affisso prima del menu (ma se siete impazienti, potete andare subito al come si mangia e quanto si spende).
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L’idea di base è la semplicità. La capacità di semplificare senza banalizzare. Sembra facile, ma per catturare l’attenzione di Roma e dei turisti che sono in transito sul nodo Fiumicino – Ostiense ci vuole qualcosa oltre la promessa di un ottimo rapporto qualità – prezzo.
Niko Romito non vi offre un liofilizzato del Reale (per gustarlo al momento dovete per forza arrivare in Abruzzo), né un succedaneo, ma un percorso diverso. Qui mangiate il seme piantato da un giovanissimo chef di cui tra qualche anno potreste sentire parlare perché ha conquistato una stella Michelin. Spazio è una nave scuola, in pratica, in cui voi siete cavie privilegiate. Perché potete chiedere tutto di un piatto che vi sarà spiegato con dovizia di particolari dai giovani chef.
È l’asso nella manica di un progetto che annulla tra l’altro uno dei malesseri della ristorazione italiana denunciati insistentemente da molti protagonisti: la scarsa rilevanza della sala nei processi di affermazione di un ristorante. Ad ascoltare alcune voci, è necessario rifondare per intero un comparto che si è ripiegato su se stesso sotto i colpi di show cooking e programmi tv. Esisterà mai più un giovane che vorrà diventare cameriere invece che chef?
Una dicotomia che Spazio azzera in questo luogo che diventa una sorta di Stoa Pecile della ristorazione italiana. Gli chef escono in sala e la loro professionalità si fa liquida, ibrida, sostenibile. Prendono le comande e raccontano, spiegano inalando il sentiment della sala che elaborano in cucina. Si creano dubbi e si confrontano con i giovani colleghi che invece hanno nella sala il loro punto di riferimento e il futuro lavorativo.
Una squadra giovanissima diretta dall’esperienza di due trainer che stanno riscrivendo i sistemi di tutoraggio: Gaia Giordano in cucina e Enrico Camelio in sala. Due “vecchie volpi” che indirizzano e risolvono dubbi. Gaia Giordano è al 100% sul progetto Spazio. Enrico Camelio è docente all’istituto Pellegrino Artusi, consulente tecnico per la sala di ennemila ristoranti e funziona da sportello lavoro con suoi ragazzi impegnati al Noma, alla Pergola, al De Russie, a Dubai, Londra e Sidney.
Cosa vuol dire in concreto per uno chef passare dai fornelli alla sala? Lo spiega un piatto del mio percorso: Pane e cioccolata. Un nome che a molti richiama la morbidezza di una merenda a base di crema spalmabile. Invece, a Spazio troverete un dolce che si odia o si ama. Contrasto del cacao al 70% con l’acidità del pane imbevuto nel lemon grass e menta e con i morsi dolci dei fichi secchi. Lo propongono guardinghi, quasi lo sconsigliano e dopo l’assaggio spiegano perché quel risultato. E modificano atteggiamenti e ingredienti senza intermediazione.
Sia chiaro che sono attrezzati anche per non essere invadenti ed evitare che una cena diventi una lezione di gastronomia non richiesta. Anche se i ragazzi imparano dal vostro imparare.
Come si mangia e quanto si spende da Spazio?
Benissimo soprattutto se si guarda al rapporto qualità – prezzo (e detta tra di noi affrettatevi perché non so per quanto tempo i prezzi potranno restare così bassi). Antipasti a 13 €, primi piatti a 12, secondi di carne e di pesce a 15 (quelli che potrebbero più facilmente cambiare), dolci a 8 €.
Dopo l’entrée di alici fritte con crema di pecorino profumata di limone e menta, ho assaggiato due antipasti.
Ottimo il consommé di cavoli con centrifugato di sedano e mela. Quattro tipi di cavolo (romano, siciliano, cappuccio e nero) in un brodo con salsa di visciole e aceto di bella freschezza. La cucina “povera” dei nostri giorni.
Super il manzo marinato 48 ore appoggiato sul pane e insaporito da due consistenze di salsa tonnata e misticanza. Anche qui attenzione alla soddisfazione con il pane che accompagna benissimo la carne.
Piacione come solo un piatto di pasta ripiena sa fare: Tortello porri e pecorino che ha dalla sua giusta cremosità e spinta verde. Da consigliare agli amanti della “diversamente” cacio e pepe.
Un po’ di delusione dal pollo e peperoni, così me lo riassumono. Non per idea o aspetto (la pelle del pollo è “ricostruita” con le patate), ma per il sale fuori misura delle patate che spegne il contrasto con gli spinaci e il caramello di peperoni.
Del pane e cioccolata ho detto e vi aggiungo solo di classificarlo come un quasi dolce.
E a contrasto arrivano le castagnole alla crema (con un po’ meno di zucchero delle classiche) accompagnate da un distillato di agrumi e menta. Si chiamavano bombe, ma mi spiegano che i clienti si aspettavano di vedere arrivare in tavola le famose bombe romitiane invece di un’interpretazione del dolce di Carnevale. Cambiato il nome, non cambia l’apprezzamento.
Che ci rimanda a bomba: saranno gli chef che vanno in sala (e cito a Roma anche Kotaro Noda e Dino de Bellis), i professionisti come Enrico Camelio che si dedica alla formazione e al recruiting della sala o gli chef come Niko Romito che, pur con tre stelle Michelin all’attivo, si inventano nuovi formati popolari a salvare la connessione tra cucina e cliente?
O non vi interessa nulla di tutte queste discussioni e in fondo pensate che un primo e un secondo a 27 € e un calice in mescita a 4 € siano una cena da provare al netto di chi porta il piatto in tavola?