Diversamente sushi con Mediterraneo e Giappone da Settembrini a Roma
Dimenticatevi barchette, gondole e scialuppe. Federica Ferranti non ha bisogno di coreografici natanti per traghettarvi nel magico mondo del sushi. Giovane, appena trent’anni, bella e capace, oltre ad essere una rarità (in qualità di sushi chef donna che per tradizione è un mestiere maschile) è il volto e soprattutto le mani del Settembrini che parla giapponese.
Ogni giorno, dal pranzo alla cena passando per l’aperitivo, il tavolo di Settembrini si colora di piccoli bocconi artisticamente disposti come in un giardino zen. “Ho studiato architettura, l’aspetto estetico del sushi mi ha attirato tanto quanto il gusto”, confessa Federica, esausta ma soddisfatta al termine di una serata piuttosto intensa, per quantità e per qualità dei piatti.
Umbra di nascita, con un diploma professionale di cucina giapponese da Shinto e qualche anno di professione nello stesso locale (“prima corsista assunta in assoluto” dichiara con orgoglio), approda a (via) Settembrini con le idee chiare. Un sushi rispettoso delle tradizioni ma aperto alle possibilità e ai sapori della cucina italiana, soprattutto umbra.
Ecco che già dalla prima uscita, tra tempura roll di mazzancolle, salmone e teriyaki, fa capolino un abbinamento molto più mediterraneo, funghi, brie scottato e scaglie di tartufo. Che non ha nulla da invidiare ai primi per combinazione di colori e consistenze, e si rivela morbido e rotondo al gusto.
Con le tartare della seconda portata entriamo in un giardino in fiore, in cui tre diverse tonalità di rosa, dal pallido della ricciola alle sfumature via via più intense dei gamberi e del tonno, si combinano con i verdi e i gialli di cetrioli, mela verde, ananas, e mango, freschi e aciduli e di grande armonia. Perfetta la temperatura di servizio dei piatti, che ha esaltato il gusto del pesce e delle varie guarnizioni, ancora più apprezzabile nell’abbinamento con la brunoise di frutta, cui basta poco per trasformarsi in una poltiglia acquosa.
Il sashimi apparentemente tradizionale, almeno sulla carta, ci sorprende: accanto ai bocconcini di tonno e salmone crudi fanno il loro ingresso le capesante, perché “i gamberi li ho già serviti nelle tartare” spiega Federica, “e penso che la dolcezza di questo mollusco si presti a un tentativo”. Anche due, il sashimi di capasanta, con la tostatura del sesamo e della shoyu, ha fatto centro, e come per il tempura di funghi e brie, colpisce il suo gusto morbido e delicato.
Con i nighiri della quarta portata rimaniamo piacevolmente sul classico: salmone teriyaki e sesamo, sgombro marinato (shime saba, intenso e meraviglioso) e una delicatissima ricciola con tobiko (uova di pesce volante) profumate al wasabi.
La chiusura è in linea con quanto offerto: un temaki rivisitato, in versione dessert, ripieno di julienne di mango e ananas con topping di frutta secca, e avvolto anziché nella consueta alga nori in un sottilissimo foglio di carta di soia, per nulla invadente, che ha lasciato al ripieno il ruolo principale. Così fresco, giustamente succoso, non zuccheroso, che viene voglia di ricominciare!
E mentre Federica racconta di come sceglie le materie prime, come inventa, sostituisce, sperimenta e contamina per regalare qualcosa di nuovo ogni giorno, vedo dei pratici contenitori per il sushi take away.
E penso che ho risolto il problema della cena una volta per tutte.