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15 Settembre 2010 Aggiornato il 23 Aprile 2021 alle ore 14:32

Datteri di mare e mozzarella. “L’ultima cena” di Peppe Ruggiero

Un brivido mi è corso lungo la schiena leggendo l'articolo di Don Luigi Ciotti, Presidente di Libera e del Gruppo Abele, apparso oggi sull'Unità. Don
Datteri di mare e mozzarella. “L’ultima cena” di Peppe Ruggiero

Peppe-Ruggiero

Un brivido mi è corso lungo la schiena leggendo l’articolo di Don Luigi Ciotti, Presidente di Libera e del Gruppo Abele, apparso oggi sull’Unità. Don Ciotti scrive delle tavole sporcate dalla mafia. Sporche e ancora più inquietanti perché vanno a cogliere un aspetto considerato leggero o comunque “innocuo”: quello del cibo.

copertina-l'ultima-cenaL’occasione per questo ragionamento è offerto dal libro di Peppe Ruggiero (sopra nella foto), L’Ultima cena, a tavola con i boss (Collana Verdenero Edizioni Ambiente, 184 pagine, 14 euro) cui anche ilpost.it dedica un ampio spazio con un testo estratto. “Si racconta invece di una mafia che bussa direttamente alle nostre porte, entra nella nostra quotidianità”, sottolinea Don Ciotti.

Ecco il brivido. Quell’aggiungere un posto a tavola a un convitato non gradito che si mangia il futuro del territorio, dei produttori, di qualcosa cui nessuno può fare a meno, il cibo. Un commensale che si insinua con la tracotanza dei biglietti di banca che non devono lasciare traccia. Un prezzo altissimo perché il prezzo delle merci deve salire, ma da un certo punto per assicurare guadagni. Il libro, scrive Don Ciotti, è un percorso tra animali infetti e mozzarella alla diossina, tra complicità di chi dovrebbe controllare e omertà di commercianti per convenienza o per paura.

E nessuno è al riparo. Non si parla solo di beni di prima necessità o di alimenti scadenti. Ci sono anche le eccellenze, i prodotti che qualificano un territorio che proprio i boss ricercano, si procurano e si fanno recapitare in carcere. E intanto investono anche sulla ristorazione. Sarebbero almeno 5.000 i locali nelle mani della criminalità fra ristoranti, pizzerie e bar usati come lavatrici.

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Bisogna fare attenzione, dunque, a dove si va a mangiare? Evitare di lasciare un croccante bigliettone anziché strisciare una carta di credito? Evitare di farsi prendere da voglie proibite, come quella dei datteri che sarebbero vietatissimi ma che lo sborone di turno può proporre sulla sua terrazza con piscina per far vedere che lui può. Come il ristoratore che con aria furtiva, come se stesse propinando l’acquisto di cocaina da consumare con l’accompagnatrice di turno, sussurra “Dotto’ abbiamo freschi freschi i datteri della penisola… una delizia”. Eccolo il gastrofanatico che si fa comandare dalla panza. No, non c’è problema tra quelli che amano il territorio, le eccellenze. Vietati e io non li consumo. E quest’estate quanti ne sono stati consumati di pesci e seppie sottomisura se anche, si vocifera, un importante gastrofanaticotrendsetter ha preparato per la sua giuliva comitiva un bel piatto di pasta con seppioline rigorosamente spillo e rigorosamente fuorilegge?

State controllando scontrini e ricevute? Ebbene sappiate che Peppe Ruggiero fornisce dati. Ogni anno, nonostante i divieti, anzi verrebbe da dire proprio per i divieti, vengono raccolti tra le 80 e le 180 tonnellate di datteri distruggendo tra i 6-15 milioni di molluschi e tra 4 e 10 ettari di fondali. Un piatto sporco per lo scempio ambientale che a Napoli va in scena sulle bancarelle a 100 euro al chilo e a 30 euro al piatto al ristorante. Ma si sa c’è sempre chi può vantandosene prima al bar con gli amici dopo essere sceso dal macchinose, ora al limite tra le pieghe del web o di un sms. E sapete qual è l’area in cui i datterai operano? Quella del'”acqua della madonna”, non quella imbottigliata ma quella davanti a Castellammare di Stabia. Da lì a Capri piuttosto che a Sorrento. Senza distinzione di strade, tunnel o approdi. Va bene, ma tanto il fenomeno è limitato al sud, non si va oltre il Garigliano. Sapete dove è stata scattata la foto dei datteri? In Toscana, a 600 chilometri da Castellammare di Stabia.

mozzarella-scatola

Se i datteri camminano lungo la penisola, che cosa vogliamo dire della mozzarella di bufala. Il prodotto martoriato dalle colorazioni estive, ma anche dall’utilizzo di latte boliviano o proveniente dall’Europa dell’Est. O semplicemente da animali dopati. La descrizione che ne fanno le pagine che ho letto, delle bufale del casertano che hanno incontrato almeno un camorrista, fa accapponare la pelle. Quante volte porti un souvenir gastronomico ad un amico? Quante volte hai visto il classico venditore di chincaglierie a piede libero che vuole fare il simpatico per intavolare una trattativa andare ad un incontro con “l’oro bianco”? Una sorta di cappello da mettere in cima ai discorsi per una complicità che letta alla luce di queste pagine ti fa apparire peggio di un inutile idiota: un veicolatore di affari malsani.

mozzarella-sangue

E non ti salvi nemmeno sul fronte dell’eccellenza. Peppe Ruggiero riporta l’inchiesta di una giornalista esperta e profonda come Rosaria Capacchione e non la recensione frivola di qualche giornalista tenutario di blog che ha scoperto come arrotondare le sue entrate nel mondo dei gastrogonzi. Rosaria Capacchione scrive dell’azienda Selvalunga di Grazzanise con 600 bufale di qualità. “Un’azienda a responsabilità camorristica”. Non c’è eccellenza che tenga, insomma. E anche qui dati sull’oro bianco con oltre 300 milioni di fatturato annuo. Nessuno vuole generalizzare, scrive Ruggiero, ma il colore della mozzarella non è solo bianco. E nemmeno blu. Resta la speranza areale coltivata dai consorziati di Salerno che vorrebbero fare gli scissionisti e lasciare Caserta al suo destino per fondare un consorzio della mozzarella di bufala salernitana al riparo da diossine e inquinamenti. Forse evitando il latte congelato e forse migliorando la qualità che anche da queste parti ha poche eccellenze, molto standard e la preoccupazione che la camorra non si sia fermata sull’A3 ed abbia varcato quel muro che tutti speravano esistesse per davvero. E intanto nella piana del Sele si vocifera di acquisizioni, passaggi di mano, interessi che crescono. Tutto in nome del bianco fiore che può essere colto da un momento all’altro. E, come se fosse troppo poco, in queste pagine si parla anche del tappo da mettere sulla buca ricolma di rifiuti tossici: un’azienda bufalina. E sono solo un paio di pagine. Pazzesco.

Aggiorno con il link al documentario in versione integrale segnalato da Toscan Foodie in America su Papero Giallo.

Foto: il ritratto di Peppe Ruggiero è di Laura Larmo

Fonti: Unità, ilpost.it,beppegrillo.it

Vincenzo Pagano
Fulminato sulla strada dei ristoranti, delle pizze, dei gelati, degli hamburger, apre Scatti di Gusto e da allora non ha mai smesso di curiosare tra cucine, forni e tavole.
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