Expo 2015. Sushi, hamburger e piatti della cucina giapponese a Milano
Expo 2015 è alle porte e tutti si stanno preparando per l’evento. Io ho fatto una immersione totale nella cucina giapponese, una serata di esplorazione (“Diversità Armoniosa in Cucina”) curata dall’associazione dei ristoratori giapponesi all’estero (JRO) come introduzione al padiglione del Giappone.
Omotenashi, innanzitutto. E poi Umami, e Dashi, e Minokichi, Rice e Mos Burger, Sukyaki, i Japanese Restaurants Abroad.
Anche se non sembra, anche se ogni persona che incontro mi dà una sua percentuale diversa sullo stato di avanzamento dei lavori (dall’80% sentito da uno dei responsabili di Expo2015 qualche mese fa – non importa se dei padiglioni o delle infrastrutture o delle strade o delle fontanelle – siamo precipitati, ieri sera, a un 20% scarso ipotizzato da un’amica foodblogger che peraltro lavora in un’azienda che all’Expo ci esporrà), sta di fatto che ormai ci siamo (forse non proprio con le traduzioni).
E si moltiplicano le presentazioni dei padiglioni, dei ristoranti, dei piatti, dei cibi.
Da InKitchen, è toccato al Giappone. Tre ristoranti, tre chef, tre piatti, e una filosofia spiegata attraverso le parole, gli showcooking, dei grandi cartelli scritti a mano, e gli assaggi.
Lo chef Shimizu del ristorante Kyodaru ha preparato del Sushi: inutile chiosare: è, qui da noi, IL piatto giapponese per eccellenza, simbolo e marchio della nipponicità. Puro, perfetto.
Lo chef Oshima Akira (già executive chef all’Hotel Okura di Amsterdam) ha introdotto la serata spiegando Umami (il sesto gusto, “saporito” o secondo alcuni “sapore di glutammato”, identificato nel 1908 da un chimico, Kikunae Ikeda) e Dashi (un brodo di pesce, leggero leggero, limpido, base per molte preparazioni).
Lo chef Yamagishi del ristorante Imahan ha preparato il Sukyaki: manzo – naturalmente wagyu, saltato in padella con salsa di soia, spaghetti, cipollotto, funghi e non ricordo più cosa. Preparazione ottima, carne ottima, e non stanca: dopo la sesta porzione, ero ancora pronto per continuare.
Lo Chef Wagu del ristorante Mos ha preparato dei Rice Burger: hamburger fatto con i bun, i panini, di riso. Una piacevolissima ottima sorpresa, da assaggiare – originale, molto buono. Mi auguro che sia una delle cose che rimarranno anche dopo la chiusura dell’Expo.
Nel padiglione del Giappone (4170 mq, 470 di zona ristorante, 160 posti per mangiare) ci sarà un ristorante, Minokichi (“L’anima della cucina giapponese”), gestito dall’Omotenashi di Kyoto, fondato nel 1719 (era uno degli otto ristoranti abilitati dal governo a servire pesce d’acqua dolce), e che proporrà appunto la cucina di Kyoto, Kaiseki.
Ci sarà poi una food court in cui si alterneranno appunto diversi ristoranti (anzi, catene di ristoranti), antichi e più recenti, alcuni dei quali hanno partecipato alla presentazione, portandosi da casa i loro ingredienti, le salse, i pesciolini, le fettine di wagyu: da Kakiyasu (1871) a Ningyocho Imahan (1895), da Kyotaru (1932) a Sagami (1970), a CoCoIchibanya (1978). E Mos Burger (1972), una catena di fast food diffusa in tutta l’Asia e in Australia, che propone appunto, fra le altre cose, l’ottimo rice burger.
E l’Omotenashi (おもてなし)? Il concetto è quello dell’ospitalità, mi sembra di capire: ma in un senso diverso, più profondo, di quello che noi attribuiamo al termine: un insieme di empatia e sollecitudine e rispetto.
Io penso che segnerò in bold l’appuntamento con il Giappone a Milano. Tutti d’accordo?