Menu. Cosa vuol dire vera cena giapponese a Milano
Quando è giunto in redazione l’invito a prendere parte a una vera cena giapponese, preparata da uno chef giapponese, con alimenti giapponesi, annaffiata da tanto sake e allietata da splendide Geiko danzanti, tutti avrebbero voluto partecipare.
Alla fine abbiamo estratto a sorte e la fortuna ha voluto baciare la mia fronte.
Ora che sono appena rientrata a casa vorrei raccontarvi l’esperienza che mi ha fatto dimenticare le code di Expo. Cercherò di essere più lucida possibile ma non garantisco nulla, dato che ho degustato ben sette tipi di sake diversi e un liquore di prugne.
La cena si è svolta nella sontuosa sala Veranda dell’Hotel Principe di Savoia, a Milano. È stata organizzata dal Signor Tanimoto, il capo della prefettura di Ishikawa, una penisola al centro del Giappone. Lo scopo dell’evento era di illustrare le eccellenze gastronomiche e culturali della penisola a noi italiani: castagne di Noto, patate dolci, yuzu, sale marino, riso (pare sia il più squisito del Paese), funghi shiitake e vari tipi di sake.
Il desiderio di fratellanza con l’Italia ha raggiunto un livello tale da trovare persino una similitudine nella forma delle due penisole. Bisogna ammettere per vederla ci è voluta non poca fantasia ma lo sforzo è stato molto apprezzato dai pochi italiani presenti (diversi chef).
Lo chef Shinichiro Takagi del ristorante Zeniya di Kanazawa ha ideato e realizzato il menu. Al mio fianco, al tavolo numero 6, avevo un’interprete e una gentile signorina, Remi Ie, direttore di Slow Food Giappone. Loro hanno spiegato il significato dei piatti a chi come me vedeva solo fiori, ghirlande e volatili colorati. I piatti intesi come stoviglie, perché le ciotole laccate, i bicchieri e i piattini di ceramica, ornati con immagini di vita naturale, fiori e animali, celavano tutti un messaggio di lunga vita, amicizia e prosperità.
A partire dal bicchierino di ceramica Kutaniyaki, colmo di buon liquore di prugne di Kaga, con cui abbiamo brindato all’inizio della cena. Su di esso vi sono dipinte due anatre mandarine, simbolo di amore eterno. Le pietanze si sono susseguite con un buon ritmo. Otto proposte belle da vedere e molto curate nella presentazione.
Ecco il menu.
Castagne (il riccio in cui era ubicata la castagna era finto e interamente commestibile), Frittata, Gamberi stufati, Bulbi di giglio, Anatra arrosto, Uovo, Rucola, fagiolini, Mango, Hikuchiko (cetriolo di mare), Erbe. Il tutto servito su un piatto laccato di Yamanaka e accompagnato dal sake “Manzairaku Jin”, prodotto con il riso più antico del Giappone, l’Hokuriku n.12.
Gamberi al vapore, Yubeshi (riso glutinoso dolce aromatizzato), Erbe, una pallina di gamberi tritati immersa in un brodo dashi tiepido e servito in una ciotola laccata di Kanazawa. Il sake proposto è lo “Kagatobi” dal sapore pulito e dolce.
Tonno (il tonno più buono che abbia mai mangiato!), Ricci di mare del Mediterraneo, Chirizu (una salsa speziata a base di daikon, limone, cipolla, sake, peperoncino), servito in un altro piatto laccato di Yamanaka e accompagnato dal miglior sake tra quelli proposti durante la serata, lo “Sogen”, prodotto con il 50% di malto di riso e 50% di riso non raffinato e usando un’acqua speciale, molto pura.
Kagarenkon (Radice di loto di Kaga al vapore), Tartufo nero estivo, il piatto più debole tra quelli proposti, forse perché non amo particolarmente il tartufo nero estivo. Era comunque un intermezzo, allietato da uno spettacolo con tamburi delle Geiko e da un buon sake, il “Tedorigawa Ghin”.
Yuzeniaki di merluzzo, Gorojimakintochi (Patate dolci), servito su una ceramica Kutaniyaki con una fenice, delle nuvole e un ramoscello di pesco a simboleggiare un evento straordinario che può realizzarsi solo in certe stagioni. Il sake di accompagnamento era organico chiamato “Akira”.
Stufato con manzo, Spinaci novelli, Carote, Kagarenkon (radice di loto di Kaga al vapore), Notoshiitake (funghi shitake di Noto), Wasabi, Sudarefu (glutine di grano, simile al seitan, prodotto a forma di bastoncino e composto da tante lamelle) su un piatto Occidentale, sempre per renderci famigliare la cucina di Ishikawa. Notevole il “Tengumai”, sake prodotto con l’acqua sotterranea del monte Hakusan.
Mushi-zushi (sushi di gambero al vapore), la mia interprete ha confessato di non aver mai mangiato del sushi cotto a vapore, così lo abbiamo condiviso. Anche il sake “Chikuha” era originale, prodotto con una fermentazione a bassa temperatura.
Per finire un piattino di dolcetti tipici di Ishikawa: una pallina di Mochi allo yuzu, un dolce a base di fagioli azuki rossi e, nel fagottino, un cubetto dolce al kinako (farina di soia tostata).
Arigatòo gozaimas! Sayòonara!