Quattro pizzaioli per una splendida festa della pizza canotto sul lungomare di Pozzuoli
Naviganti della migliore pizza napoletana contemporanea segnate sui vostri portolani uno degli indirizzi di riferimento da raggiungere nel vostro girovagare: Pozzuoli.
[do action=”bcapdx”/]
Qui, su un lungomare che pullula di gente baciata da un generoso sole primaverile (tanta da farvi mettere in guardia sulla necessità di assicurarvi un attracco per i vostri battelli a prova di rimozione con carro attrezzi) c’è 10. Un numero che si è stampato sulla maglia da pizzaiolo Diego Vitagliano, esponente della nuova corrente dei canottisti, i pionieri della pizza a canotto.
Dimenticate, però, le lotte da orto, anche se il pizzaiolo di adozione flegrea ma napoletanissimo ha il suo appezzamento da cui arrivano le verdure di farcitura, perché il mantra dei giovani artigiani del disco che sta facendo impazzire gli appassionati del buon mangiare è coesione e condivisione.
Ed eccoli allora in quattro, pizzaioli ed amici, a declinare il verbo della pizza leggera e spumeggiante, nemmeno pallido ricordo del cibo chiamato a chiudere appetiti atavici.
Qui si gioca con impasti dal dosaggio millimetrico pronti a far scivolare farine d’eccellenza sull’acqua che – si direbbe magicamente – gonfia impasti d’aria grazie a corrette lievitazioni. Diretta, indiretta e biga: le tecniche sono conosciute e applicate con guizzi personali che lasciano il segno.
[do action=”moretti-300-dx”/]
Diego Vitagliano da Pozzuoli, Francesco e Sasà Martucci da Caserta, Giuseppe Pignalosa da Ercolano hanno messo le vele al vento pronti a far virare i loro canotti sulle onde dell’entusiasmo per aver colpito chi della pizza ha fatto una religione che ammette confronti ma non passi indietro sul terreno inaridito di una tradizione chiusa su se stessa.
Una festa non è luogo di una recensione, ma di divertimento.
E vi posso assicurare che il nostro tavolo si è divertito come tutti quelli dei partecipanti che hanno staccato un biglietto di 20 € all inclusive per salire sulla giostra e godere di 4 ottime pizze.
L’ospitalità del padrone di casa fa arrivare due fritti dalla tradizione dei monzù. Un ritorno al futuro degno di nota con il cavolfiore e l’uovo alla monachina. Non sapete di cosa si parla? Non fatevene ragione di rammarico!
[do action=”jor”/]
È questione di storia e di territorio e se c’è chi non sa su quale meraviglia ha prosperato grazie a testimonianze del passato come il tempio di Serapide o a opere come i Regi Lagni, voi ribattete che sniffare l’aria alla ricerca della strada da seguire non è espediente corretto.
[do action=”jq”/]
Con il naso è meglio tirare su gli effluvi di questi fritti o della pizza di Diego Vitagliano Santa Croce, pisellina per gli amici, perché la varietà è di quelle topiche e tipiche in grado di salutare sotto forma di vellutata l’incipiente primavera in accompagnamento a scorzette di parmigiano campano, fior di latte di Agerola e bacon (che un tocco anglosassone ci va).
Sì, avete capito, la trasposizione di piatti con i piselli che sono veri classici.
Sale sulla tolda Sasà Martucci, fratello gemello di impasto (ma io scommetterei su differenze caratteriali di sale e di riposo) di Francesco che a settembre aprirà i battenti della sua nuova pizzeria macinatrice di numeri e successi.
Si va sul Mar Rosso con il nome della pizza che getta le reti e prende un tonno, ma di quelli buoni e non fessacchiotti, cotto a vapore e preparato home made che va a nozze con i peperoncini di fiume.
Al tonno non potete che avvicinare le alici, quelle della pizza Giagiù di Giuseppe Pignalosa che inalbera il vessillo del pomodoro giallo in combinazione con le zucchine grigliate della varietà di San Pasquale.
La chiusura è affidata a Capitan Francesco Martucci che ripropone il tonno, questa volta di Nino Castiglione, con la scarola riccia nella sua Regno delle Due Sicilie, dichiarazione orgogliosa dell’appartenenza ai territori al di qua del Volturno e dei Regi Lagni.
C’è poco da aggiungere. E sempre questione di numeri. Uno è meglio.
E di pizze che ti drogano e ne vorresti sempre di più.
Cin, in alto i calici.