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Cibo
8 Gennaio 2018 Aggiornato il 31 Marzo 2019 alle ore 10:51

5 cibi vulcanici che dovete conoscere: dall’olio del Vulture al pomodorino del Vesuvio

Molti cibi della nostra Penisola sono strettamente legati al proprio terroir - termine francese che unisce terra, aria, acqua, cultura e racconti
5 cibi vulcanici che dovete conoscere: dall’olio del Vulture al pomodorino del Vesuvio

Molti cibi della nostra Penisola sono strettamente legati al proprio terroir – termine francese che unisce terra, aria, acqua, cultura e racconti sviluppati in un particolare ritaglio di territorio – in modo unico e irripetibile.

La forte influenza terragna è particolarmente manifesta nei ricchi e fertili terreni vulcanici, che grazie alle loro peculiarità geologiche sono in grado di generare eccellenze gastronomiche.

Ecco 5 cibi vulcanici che in pochi conoscono, dai sapori complessi in grado di regalare brio alle vostre papille gustative. Un viaggio che va dal monte Vulture all’Etna, dal lago vulcanico di Bolsena al Monte Amiata fino alle pendici del Vesuvio.

1. L’olio extravergine di oliva del Vulture

Quest’olio lucano, a nord della Basilicata, è racchiuso attorno al recinto di comuni toccati “dall’ardente e tremendovulcano del Vulture, così definito dal giornalista e poeta Cesara Malpica. Gli ulivi che puntellano la zona montuosa sono ben accuditi da un terreno lavico e ricco di minerali, in grado di donare un olio che si contraddistingue per la sua delicatezza e fragranza, dal sapore leggermente fruttato e organoletticamente equilibrato. I Frantoiani del Vùlture estraggono il primo extravergine Dop della regione, con l’obiettivo di produrre non solo un grande prodotto, ma di custodire il paesaggio e conservare la memoria contadina del posto. La cultivar definita dal disciplinare è l’Ogliarola del Vulture per il 70% e si aggiungono – in solitaria o congiunte –  per il 30% altre varietà come Coratina, Cima di Melfi, Palmarola, Provenzale, Leccino, Frantoio, Cannellino, Rotondella. Il successo è garantito con le prelibatezze locali, come con piatti a base di baccalà e peperone crusco.

Frantoiani del Vùlture. Contrada Le Tufarelle. Venosa (Potenza). Tel +39 0972 374635

2. Le antiche mele dell’Etna

Pochissimi produttori, all’interno del parco naturale dell’Etna, danno continuità alla tradizionale coltivazione di semi antichissimi di mele. Frutti che surclassati dalle moderne tendenze alimentari rischiano la scomparsa, assieme alla loro collana di sapori e saperi culturali. Questa agricoltura eroica avviene su terrazzamenti in pietra lavica, sulle pendici del vulcano siciliano a un’altitudine che va dagli 800 ai 1500 metri con la visuale rivolta verso il mar Ionio e la rispettiva brezza marina. Definite come le “mele più alte d’Europa”, si traducono in quattro varietà: cola, gelato, gelato cola e il cirino. La mela cola, chiamata così per via della prossimità al convento di San Nicola a Nicolosi, ha una forma cilindrica e un piccolissimo formato, buccia lentigginosa e polpa bianca e acidula. La varietà gelato con il suo colore paglierino ha un gusto dolcissimo e aromatico, polpa bianca e farinosa con sfumature di colore che assomigliano a un frutto, appunto, gelato. La gelato cola incrocia i destini delle cultivar precedenti, una coabitazione che da vita a un prodotto dalle caratteristiche uniche. Infine la rarissima mela cirino, dalla buccia setosa e rassomigliante a una patina di cera, ha un gusto dolce, una forma schiacciata, colore verdino con sfumature rossastre.

Cooperativa Agricola Zaufanah. Via Leonardo Sciascia,1. Zafferana Etnea (Catania). Tel +39 329 6313 407

3. Patata dell’Alto Viterbese

La terra intorno al vulcanico lago di Bolsena, ricca di potassio e calcio, ha restituito un piccolo paradiso agroalimentare. Qui cresce la patata dell’Alto Viterbese Igp: forma ovale, buccia liscia e polpa gialla, sapore pieno e intenso. La sua storia comincia negli anni ’20, lontana da luoghi e tavole opulente, diventa nel tempo il principale prodotto per la sussistenza agricola del territorio in seguito all’abbandono della coltura della fragola. A dare quel tocco unico che ne determina qualità e salubrità è il microclima costituito dal lago, con temperature ottimali per la crescita fisiologica del tubero che facilitano una migliore traslocazione dei carboidrati e dei minerali alla pianta. Veste ottimamente i modesti panni della minestra con “l’orloge”, piatto tradizionale chiamato in questo modo per il modo in cui viene tagliato il tubero, o con la pasta e patate.

Consorzio Cooperativo Ortofrutticolo Alto Viterbese. Località Salcinella. Grotte di Castro (Viterbo). Tel. +39 0763 796117

Azienda Agricola Perle della Tuscia. Località Caracalla. Grotte di Castro (Viterbo). Tel. +39 329 5468969

4. Castagne del monte Amiata

Le rotte del cibo sul monte Amiata, nella zona meridionale della Toscana, incontrano la coltivazione della castagna a un’altitudine che va dai 300 ai 1000 metri sul livello del mare. Questo antico vulcano spento ha un terreno composto da rocce vulcaniche, arenacee e ampia componente silicea, tutte complici delle caratteristiche organolettiche di questo frutto e della generosità dei suoi alberi. La certificazione Igp ottenuta nel 2000, racchiude – secondo disciplinare – tre varietà: cecio, marrone e bastarda rossa. Ma è già a partire dal XVI secolo si attesta la comparsa di “Statuti della comunità dell’Amiata” che prevedevano con rigide norme, la salvaguardia di questa importante risorsa per il territorio. Facili da cucinare, sia dolci che salate, nella tradizione culinaria locale assumono nomi differenti a seconda della codifica gastronomica: si chiamano suggioli se lessate con la buccia; castroni se prima della cottura viene incisa la buccia; bucchiate quando vengono sbucciate completamente e lessate; vecchierelle se prima essiccate e poi lessate in acqua insaporita con finocchio. Grazie al loro potere saziante, molte sono le ricette proliferate, come il castagnaccio, la “brodolese”, i necci e la polenta.

Azienda Agricola Perelle. Località delle Saracine. Castel del Piano (Grosseto). Tel +39 339 5734264

Castagne Cioci. Località la Pieve. Arcidosso (Grosseto). Tel +39 335 8430457

5. Pomodorino del piennolo del Vesuvio

Espressione identitaria e territoriale è il pomodorino del piennolo (pendolo), viene coltivato nell’area vesuviana in un terreno ricco di potassio e microelementi. Si distingue per la sua punta a “pizzo”, buccia soda e resistente, polpa saporita ma non succosa, gusto dolce e retrogusto leggermente acidulo. Attraverso un metodo di conservazione tra i più salutari della cultura mediterranea, si produce un cibo disponibile al di là della stagionalità: vengono riuniti in grappoli e legati da una cordicella, successivamente finiscono a testa in giù in soffitte/cantine – appunto definito “piènnolo” – con una giusta umidità e areazione. Frutto Dop e pop, lo ritroviamo sulla tipica pizza napoletana oppure, come avveniva storicamente, i contadini lo “schiattavano” sul pane con un filo d’olio, sale e basilico.

Azienda Agricola Giolì. Via Palmiro Togliatti, 37. San Giorgio a Cremano (Napoli). Tel. +39 338 6356591

Azienda Agricola Casa Barone. Via Gramsci, 109. Massa di Somma (Napoli). Tel .+39 0810 606007

Azienda Agricola Sapori Vesuviani. Strada Provinciale Pugliano, 16. Portici (Napoli). Tel. +39 335 310786

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