Trevinano. Ogni scusa è buona per andare alla Parolina di Iside de Cesare
Il navigatore insiste: siamo in provincia di Viterbo, ma prima di convincermi ci ho discusso parecchio. Perché per arrivare a Trevinano, dov’è La Parolina, sono passata per l’Umbria, che è a un tiro di schioppo, e anche la Toscana si trova poco più a nord. Poco laziale anche il paesaggio, intervallato da pianori e mosso da alte e verdissime colline, quasi tutte incoronate da castelli medievali con annesso borghetto, a guardia del territorio ormai da tanti secoli. Usciti dall’A1, la strada diventa tortuosa, a tratti anche sterrata: a Trevinano non ci si capita per caso.
La scusa per percorrere i 166 km che lo separano da casa mia è l’arte contemporanea. Nel meraviglioso castello Boncompagni Ludovisi, antecedente all’anno Mille e perfettamente conservato l’artista di fama mondiale Sidival Fila esponeva alcune delle sue suggestive Metafore: esempi di arte introflessa che ‘sutura’ con migliaia di fili un’interiorità ferita che fatica a rimarginarsi.
Tuttavia, l’occasione era da cogliere al volo per varcare finalmente la soglia di un’altra roccaforte, non meno ricca di interesse: La Parolina, il ristorante una stella Michelin che Iside de Cesare e Romano Gordini hanno aperto nel 2005. Per la sala hanno scelto toni morbidi e materiali caldi: paglia, legno laccato e al naturale, e la nota rustica data dai decori intagliati e dagli inconfondibili animaletti di Michelangeli, famiglia di artigiani del legno di Orvieto. Peccato non poterli apprezzare alla luce del sole, ma le giornate si sono ormai accorciate e quando arriviamo è già buio.
Iside e Romano ci accolgono sulla terrazza dalle luci soffuse, affacciata su una vallata a perdita d’occhio, e ci annunciano per la serata un menu pensato apposta per l’occasione che non figura in carta, interamente a base di pesce.
Ho assaggiato la cucina di Iside in occasione di varie manifestazioni, ne conoscevo l’apparente semplicità. Gli ingredienti che usa non hanno suoni esotici, né i suoi piatti nomi più lunghi di quattro o cinque parole; eppure sanno affermare con efficacia la propria identità e l’appartenenza a un territorio – la campagna, dell’alta Tuscia e luoghi limitrofi – e a una tradizione, la cucina buona delle occasioni speciali, impreziosita dalle tecniche e dalla cura della materia prima che ci si aspetta da un ristorante stellato.
La partenza è sportiva, il Fish & Chips è l’antipasto croccante: tempura di verdure miste – zucchine, melanzane, patate, barbabietole e carote – e filetti di mare, molto leggero, ben asciutto e croccante.
Il risotto “come un cacciucco” segue a ruota, e non è proprio una sorpresa visto che la chef ha già presentato altre volte variazioni sul tema (i suoi cappelletti di cacciucco per esempio). Decisamente all’onda il riso e nel complesso molto succulento il piatto, con la dolcezza che predomina – piacevolmente – e accompagna la nota marina della bisque. Fresco e iodato abbinato ai crostacei e ai calamari cotti e crudi con cui viene servito il piatto.
Con i tagliolini di grano arso ai frutti di mare al profumo di agrumi si cambia stile. Un piatto dai sapori molto mediterranei, in cui la nota fumé del grano arso spicca senza strafare, mentre un sottofondo di scorza d’arancia invita a ripetere l’esperienza. Insolita la presenza della cappasanta insieme alle cozze, molto gradevole da sola, ma mangiata insieme alle cozze tende a scomparire.
Lo spiedino è composto da pesce di mare e di lago, quel coregone che Iside e Romano si fanno arrivare dal vicino lago di Bolsena. Una leggera marinatura e una cottura rapida, quel tanto che basta per abbrustolire la pelle e lasciare morbida e succosa la polpa. La maionese al prezzemolo si accompagna senza coprire. Ma confesso che ho preferito gustare lo spiedino ‘nature’, per godermi il gusto delicato delle carni senza interferenze.
Dessert a base di frutta di stagione: nella coppa è protagonista la pesca. Una dadolata fresca sul fondo che si alterna all’abbinamento con il sorbetto o con la mousse, per un finale che celebra gli ultimi giorni dell’estate.
Non poteva mancare quello che ormai è quasi un signature de La Parolina: l’Italia dei dolcetti tipici, presentati con un’efficace distribuzione territoriale: strudel, bonnet, sbrisolone, amaretti, cannolini, fichi secchi ricoperti di cioccolato, sfogliatelline, savarin, parrozzetti, cantucci e via assaggiando. La piccola pasticceria che fa grande la nostra tradizione è (quasi) tutta qui.
Ai piatti di Iside de Cesare è stato abbinato il Fioranello Bianco, della Tenuta di Fiorano, proprietà del principe Alessandro Jacopo Boncompagni Ludovisi. Blend di uve grechetto e viognier, dal bouquet piacevolmente aromatico. Note di fiori gialli e mela golden mango e percoca, con un piacevole finale di fieno, fresco e molto beverino. Mi è piaciuto con il risotto e con lo spiedino di mare. Per lo spaghetto di grano arso avrei immaginato un vino più profondo, del sud, probabilmente un fian, magari un orange, che va così tanto. Oppure un rosé.
Ma di questa ‘zingarata’ ai confini del Lazio mi restano tante cose belle: la brezza rigenerante del dehor de La Parolina, l’ospitalità del principe Boncompagni Ludovisi, e la grazia di Iside e Romano, da cui, un piatto dopo l’altro, lasciarsi sedurre è fin troppo facile.
La Parolina, Via Giacomo Leopardi, 1. Trevinano (VT). Tel. 0763 717130.