50 Top Pizza. Aiuto ci siamo persi le pizze di Bosco e di Sorbillo
Pizze e classifiche. Cioè, quanto dura una classifica delle pizze(rie) sul web?
Dipende dalla quantità di post e di repost della classifica che i classificati fanno sui loro profili social. Nonché dalla necessità di riempire buchi e spazi vuoti di siti e blog e dalla capacità della classifica di generare polemiche.
Poi, direbbero i più attenti osservatori, c’è la Guida Michelin che classifica senza fare classifiche e genera conversioni nemmeno fosse un influencer. Ma questo è un discorso a parte.
Nulla si crea e nulla si distrugge (forse)
Sulla scorta della 50 Best Restaurant e sulla prima temeraria classifica delle pizzerie redatta da Phaidon sulla scorta della guida elaborata da Daniel Young nel 2016, nasce 50 Top Pizza.
La mossa dei curatori de Le Strade della Mozzarella, congresso gastronomico sulla mozzarella di bufala giunto ormai ad esaurimento, voleva ribaltare l’idea che uno straniero potesse dire la sua sulla pizza (napoletana) e mettere in cima al mondo un casertano.
Lo stesso casertano, Franco Pepe, divenuto primo nella classifica generata dagli italiani e “detronizzato” (cit.) pochi giorni fa a favore di un altro casertano, Francesco Martucci.
Un sorpasso che ha avuto una lunga gestazione con l’ex-aequo dell’anno scorso rimbalzato sui media e sui social con quell’incertezza del primus inter pares e dei dittatori che si spartivano il potere. Buoni a mettere veti e fare lotte fratricide subite dal popolo piuttosto che a primeggiare.
Un effetto mediatico per alcuni depotenziato da quel fifty-fifty e per altri potenziato da due nomi in concorrenza.
Certo è che serve il coup de théâtre per dare vigore e interesse alla classifica che soprattutto premia (in denaro) chi la classifica la stende. E che giustamente vuole vedere premiato il lavoro di ispezione e di raccolta scontrini cui corrisponde un esborso economico.
Quest’anno la regia ha proposto il siparietto della pizza dell’anno di Martucci che arriva prima dell’effettivo secondo Pepe. Mossa per creare un po’ di suspence che i più sgamati hanno colto pur nel turbinio della diretta social che andava e veniva.
Le discussioni sul web riguardano le posizioni in classifica di questo o di quel pizzaiolo. Tutte dimenticano che il beneficio per un pizzaiolo, ma si dovrebbe dire pizzeria stando al regolamento che premia le pizzerie pur chiamandosi 50 Top Pizza, arriveranno solo per il 1° classificato.
O al massimo, per i cultori della materia, per il podio.
Lasciate ogni speranza o voi che entrate in questo Bosco oscuro
La faccenda divertente (anche se qui ci divertiamo con la saga La Guerra dei Pizzaioli) è notare il proliferare dei premi, delle sezioni e dei distinguo all’interno del regolamento.
Un regolamento che con il passare del tempo assomiglia di più ad una finanziaria prodotta dai partiti al governo in opposizione tra di loro. Scritto forse un po’ troppo in fretta e furia per regolamentare un fatto così importante come la vita della classifica stessa.
Con risultati a volte incomprensibili anche per gli addetti ai lavori. Come, ad esempio, per Paolo Marchi, ideatore del congresso gastronomico Identità Golose.
Nel suo pezzo, che illustra quanto accaduto nella classifica, scrive:
Tante, forse troppe in chiave di immediatezza, le classifiche studiate dai tre curatori, Barbara Guerra, Luciano Pignataro e Albert Sapere. Non trovo ad esempio tra i migliori 50 Renato Bosco e le sue creature a Verona.
Che fine hanno fatto le pizze di Bosco e Sorbillo
La burocrazia è quella cosa che uccide anche la migliore intenzione. Saporè di Renato Bosco è nella classifica delle catene che sono però artigianali (vi immaginate una Rossopomodoro in classifica che scandalo sarebbe?). Delle catenelle diciamo.
Solo che al giornalista del nord appare un controsenso mettere al terzo posto Simone Padoan e “dimenticarsi” di Renato Bosco. Proprio come è sembrato strano che non ci fosse Gino Sorbillo o Paolo De Simone. Rei al pari di Renato Bosco di aver aperto più pizzerie e quindi diventati loro malgrado catene.
Meno pizzerie generano più posti nella classifica
Come ad alcuni è sfuggita la faccenda “altro indirizzo”. Un espediente volto a limitare il numero dei pizzaioli e a giudicare in una sorta di media più pizzerie. Valutando, ma non è sicuro, la casa madre e via via in una media gli altri indirizzi. Ma che non devono essere superiori a 4 altrimenti si diventa catena.
L’effetto è la sparizione delle pizzerie, cioè dell’oggetto teorico della classifica. Per cui la pizzeria Pignalosa di Salerno scompare dagli schermi nonostante sia viva e vegeta. E da riferimento a Salerno diventa “altro indirizzo” rispetto a Le Parùle dello stesso pizzaiolo Giuseppe Pignalosa.
Peccato che le pizze e gli impasti siano totalmente differenti. Nessun virologo computazionale riuscirà a capire se la pizza di Pignalosa (ma dovrebbe essere la pizzeria) è salita dal 120mo posto al 36mo. Oppure è scesa dal 20mo.
Pizze al forno e pizze fritte eguali sono (dicono)
La voglia di condensare e mettere quanti più nomi di pizzaioli nella Top 50/100 ha giocato un brutto scherzo ai classificatori proprio con Gino Sorbillo.
Già, perché viene ripresa l’idea che Sorbillo sia diventata catena. Viene descritto puntualmente il format del numero 7 di Lievito Madre con sedi a Napoli, Milano, Roma, Genova dimenticando che Goumand o Olio a crudo non sono esattamente la stessa cosa. Ma chiudendo tutti e due occhi e pure la bocca un “altro indirizzo” diventa Zia Esterina. Che propone pizze fritte da asporto. Notoriamente cotte nel forno a legna. Cosa ci sia di uguale nella pizza al forno seduti al tavolo e in quella che esce dall’olio da mangiare in piedi, è domanda che è stata rivolta agli aruspici. Per ora dal fegato di Piacenza, nessuna risposta.
A tacere che la sede centrale di via Tribunali è tanto diversa che a 20 metri c’è una Zia Esterina.
Catene, catenelle e catenine
Ma il concetto di catena ha permesso di recuperare ad esempio Michele a Forcella che era precipitata nel fondo della classifica 2019. E di offrire un contentino a un quasi pizzaiolo molto mediatico. Almeno così si ragiona in una rete abituata a pensare a Michele come catena di persone in fila.
E poi c’è l’annosa questione degli sponsor che devierebbero il corso naturale dei giudizi a suon di quattrini. Ripagati dall’aumento delle vendite di prodotti alle pizzerie in cerca di raccomandazioni. O più semplicemente dell’idea di dover avere questo o quel prodotto per uno sguardo benevolo. La cosiddetta e fallace teoria dell’acqua a tavola tanto in voga per ricevere premi di classifiche e guide.
Ovviamente questa dei pupilli incoronati è una delle tante illazioni messe in giro da chi non è riuscito a entrare in classifica. La teoria della volpe e dell’uva, diremmo.
Al limite potrebbe portare all’accusa del proliferare dei premi e delle targhe per accontentare la voglia di giusta visibilità degli sponsor. Ma chi è senza peccato scagli la prima pietra.
Credibilità e affidabilità di pizze e non solo
Mi piace giusto ricordare la differenza tra credibilità e affidabilità in risposta a un lettore di Scatti di Gusto.
Credibilità è una relazione che si instaura tra soggetti e quindi viene riconosciuta da qualcuno.
Onestà, coerenza e affidabilità sono le qualità della persona credibile come spiega Aristotele.
Una classifica è affidabile se il dato oggettivo, rectius, verosimile viene condiviso con buona approssimazione da soggetti terzi, cioè i lettori, e quindi se gli scostamenti da quella proposta sono minimi (ho il dubbio che il quarto possa essere terzo, ma non il decimo sia primo).
Quindi sarà affidabile se ha questa caratteristica, mentre sarà credibile se c’è onestà di osservazione, coerenza di giudizio rispetto alle voci esaminate, affidabilità perché condivisa.
I criteri per stilarla sono stabiliti prima dell’osservazione. Per la pizza noi proponiamo:
aspetto visivo, profumo, cottura, sapore, leggerezza, rapporto qualità-prezzo che è l’ordine cronologico di valutazione. Comprimiamo al massimo il valore soggettivo di piacevolezza generale che è quello che più facilmente si espande.
Non tutti i pizzaioli elencati utilizzano il mulino che ha scelto Scatti di Gusto come mezzo affidabile e credibile. Ritengo anche perché siano correttamente indicati i pizzaioli autori di pizze credibilmente ottime o buone anche se usano la farina di un suo competitore.
È riferita alla pizze e non alle pizzerie quanto ai criteri. Ma penso sia applicabile come categoria generale.
La domanda è semplice: una pizza di una pizzeria artigianale è uguale rispetto alla pizza di un’altra pizzeria curata dallo stesso pizzaiolo? Sono umani o piccoli robot a fare queste benedette pizze?