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31 Marzo 2023 Aggiornato il 1 Aprile 2023 alle ore 08:48

Alberto Grandi attacca la pizza di Napoli ma dove sono le prove?

Alberto Grandi: “Finché è rimasta a Napoli la pizza è stata una grandissima schifezza”. Ma il docente è smentito da fatti che conosce
Alberto Grandi attacca la pizza di Napoli ma dove sono le prove?

Alberto Grandi ha detto al Corriere: “Finché è rimasta a Napoli la pizza è stata una grandissima schifezza”. 

Dopo aver ridicolizzato la cucina italiana in una chiacchieratissima intervista sul Financial Times, maltrattando parmigiano, carbonara, panettone e altri vanti nazionali, il docente dell’università di Parma è stato ripreso con grande risalto da BBC e dal canale France 2. 

Che non si sono fatte pregare rilanciando il ritornello ripetuto all’infinito dal professore: la cucina italiana si basa, in realtà, su bugie ben raccontate.

Non contento, Alberto Grandi, autore del best seller “Denominazione di Origine Inventata” e, insieme a Daniele Soffiati, del podcast omonimo, le ha sparate grosse sulla pizza di Napoli. 

Lasciamo perdere se e quanto sia opportuno che un esperto, per di più italiano, affermi in contesti internazionali che la cucina tricolore, nota per essere tradizionale e autentica, si basi in realtà su delle invenzioni.

Ma se quelle del docente emiliano fossero cavolate? Okay, riformuliamo in modo più consono agli ambienti accademici. 

Su quali basi Alberto Grandi diffonde le sue sentenze sulla pizza di Napoli? 

Alberto Grandi ha ragione sulla pizza?

Siamo sicuri che “questa specialità” (@ Grandi) sarebbe scomparsa senza emigrazione in America? 

E che in diverse zone del capoluogo partenopeo, nel 1905 – anno del primo napoletano pizzaiolo a New York – le pizze non si mangiassero da un pezzo? 

Qualcuno si è preso la briga di fare fact-checking? 

Beh, dopo aver sfoderato “Il re di Napoli” del giornalista napoletano Angelo Forgione, ci proviamo noi. 

Nel libro del 2019 dedicato al pomodoro, Forgione riporta una corposa serie di documenti che smentiscono le tesi di Alberto Grandi su pizza e pizzerie di Napoli. 

La prima pizza di Napoli era bianca

Nel Seicento la prima pizza dei napoletani è bianca, poiché all’epoca il pomodoro non figura tra gli alimenti più diffusi dell’alimentazione umana. 

Strutto, pepe, formaggio di pecora e basilico sono gli ingredienti di questa prima pizza. Che non si chiama ancora pizza ma “mastunicola”. Storpiatura dell’espressione dialettale “vasinicola”. Significato in napoletano: “basilico”.

Il pomodoro arriva a metà Ottocento 

La pizza con il pomodoro e la mozzarella nasce senza dubbio a Napoli.

Se il cibo di strada del popolo napoletano si colora di rosso è perché a fine Settecento, attorno al Vesuvio, inizia la coltivazione del pomodoro a bacca lunga. Nome popolare “Fiascone di Napoli”, estinto a metà del Novecento e rimpiazzato dal pomodoro “San Marzano”. 

A fornire la prova della diffusione del pomodoro su maccheroni e pizza, oltre a vari scritti e ricettari, è un famoso viaggiatore dell’epoca, il romanziere Alexandre Dumas.

Nel suo libro “Le Corricolo”, scritto dopo aver visitato Napoli nel 1835, tutti possono leggere, anche Alberto Grandi: “La pizza è con l’olio, la pizza è con salame, la pizza è al lardo, la pizza è al formaggio, la pizza è al pomodoro. […]”.

La presenza del pomodoro è confermata da un libro dei medici Achille Spatuzzi, Luigi Somma e Errico De Renzi, pubblicato nel 1863. Titolo: “Sull’alimentazione del popolo minuto in Napoli”. 

Nel testo si legge: “I napoletani mangiano a dovizia le pizze: […] pizze condite con olio o sugna in abbondanza, con formaggio, origano, aglio, prezzemolo, foglie di menta, con pomidoro specialmente in està. […] I pomidoro sono in Napoli adoperati moltissimo nell’està freschi, e nell’inverno o secchi o ridotti a conserva; […]”.

Ci sono anche i latticini

Gino Sorbillo e Francesco Martucci sulla pizza ci va il fiordilatte o la mozzarella

Anche la mozzarella e il fiordilatte finiscono sulla pizza nello stesso periodo, cioè nella prima metà dell’Ottocento.

Ben prima del 1889, anno in cui si pretende (ma è un falso) di datare l’invenzione tricolore della pizza, cioè con pomodoro, mozzarella e basilico, dedicata dal pizzaiolo Raffaele Esposito alla regina Margherita di Savoia. 

In un volume della raccolta “Usi e costumi di Napoli e contorni descritti e dipinti”, pubblicato nel 1858, il filologo Emmanuele Rocco dedica un capitolo a “Il pizzajuolo”. 

Scrivendo che il condimento rosso-bianco-verde è già uno dei preferiti dai napoletani nelle strade della loro città.

Dunque, comunque la pensi Alberto Grandi, la mozzarella e il pomodoro sono finiti sulla pizza nella prima metà dell’Ottocento, a Napoli e non in America. 

La margherita e il calzone di metà Ottocento 

calzone ripieno

Già allora sono vari i condimenti della pizza richiesti dai napoletani. 

Nelle pizze “coll’aglio e oglio” figurano olio, sale, origano e piccolissimi spicchi d’aglio. Per insaporirle si aggiungono piccoli pesci. 

Il formaggio grattugiato sopra una base di strutto è un altro condimento, insaporito da fette sottili di mozzarella e qualche foglia di basilico. 

Altri ingredienti spesso utilizzati sono pomodoro, arselle e prosciutto a fette sottili. 

All’epoca risale un calzone ante-litteram, ovvero una pizza con la pasta piegata su sé stessa. 

Nonostante Alberto Grandi ritenga che a Napoli la pizza fosse una schifezza, si intravede già l’odierna margherita, considerati gli ingredienti.

Strutto, pomodoro, fette di mozzarella, basilico e formaggio grattugiato. Sostituite l’olio allo strutto e il gioco è fatto. 

La pizza come la conosciamo è nata a Napoli, Alberto Grandi o meno

Solo dopo, a inizio Novecento, gli americani scoprono la pizza dagli emigranti napoletani che vanno a farla “all’America”. Come il pizzaiolo Gennaro Lombardi che si trasferisce a New York nel 1905. 

Successivamente, sono i soldati americani di ritorno dal fronte italiano della Seconda Guerra Mondiale a diffonderne la conoscenza. 

Il resto lo fanno i viaggi dei turisti americani al termine degli anni Cinquanta. In Italia sono gli anni del boom economico, la pizza inizia a trovarsi nei menu di numerosi ristoranti. 

La prima pizzeria è stata aperta a Napoli, altro che New York

Diversamente da quanto sostiene Alberto Grandi, a Napoli le prime pizzerie, intese come locali dove ci si siede per mangiare solo la pizza, si diffondono dal primo Ottocento.

Come è possibile verificare presso l’Archivio di Stato di Napoli dove si conserva “l’Elenco dei pizzajoli con bottega”, anno 1807. Pochi anni dopo le pizzerie somigliano già a quelle di oggi.   

Lo racconta il politico campano Francesco De Sanctis nelle sue memorie: “La giovinezza”:

“La sera s’andava talora a mangiare la pizza in certe stanze al largo della Carità.”

Aveva sedici anni, De Sanctis, quando frequentava quella pizzeria, cioè “Le stanze di Piazza Carità”, oggi ancora in attività con l’insegna Mattozzi. Era, in pratica, il 1833, e già la pizzeria disponeva di tavoli e sedie. Al pari di tante altre. 

Comunque molto prima del 1905, anno in cui Gennaro Lombardi apre la prima pizzeria di New York, replicando una pizza molto amata a Napoli, proprio quella con pomodoro e mozzarella, rimpiazzata da un formaggio locale.

Alberto Grandi, la pizza, le sciocchezze

Alberto Grandi pizza Napoli
Alberto Grandi ha già ammesso di aver detto sciocchezza sulla pizza di Napoli

Colpiti? Ne abbiamo ancora. 

Lo storico dell’alimentazione, forse motivato dalle vendite del libro “Denominazione di Origine Inventata” e dal successo del podcast con lo stesso titolo, smonta da anni la cucina italiana. Ri–pe–tu–ta–men–te e su ogni mezzo.

Come dire: argomento che vende non si cambia. 

Infatti gli era già capitato di affermare le cose dette al Corriere. Cioè che la pizza a Napoli era uno schifo o che la prima pizzeria è stata aperta a New York nel 1911.

Tuttavia, smentito proprio dal giornalista Angelo Forgione, Alberto Grandi ha dovuto riconoscere di aver detto sciocchezze sulla pizza.

In questi giorni però, pur di sfruttare l’eco mediatica seguita all’intervista del Financial Times, non si è fatto scrupolo di ripetere le stesse sciocchezze.   

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