Degli elenchi e della vita. Riflessione sui 50best
Un poco di cronistoria: Enzo Vizzari il giorno prima della premiazione dei 50best convoca Striscia la Notizia per attaccare l’elenco. Le critiche sono essenzialmente due :
1) non è richiesta la prova dell’effettiva visita dei giurati al ristorante che votano
2) esistono “cordate” per spingere questo o quel ristorante.
Fino a qui niente di nuovo, le medesime critiche il direttore delle prestigiose guide de L’Espresso le aveva mosse già nel passato durante la sciagurata polemica/inchiesta di Striscia “fornelli polemici”. Tra l’altro sono due argomenti che risultano a tutti noti e veri, quello che è diverso questa volta è che su tutti i maggiori blog italiani del settore i vari gastronomi italici siano insorti, schierandosi subito in squadre contrapposte e disotterate cerbottane, fionde e petardi si sono subito schierati nella via Pàl virtuale.
Sostanzialmente le posizioni sono due da una parte quelli che sparano sui 50best, sostenendo che non siano assolutamente credibili e convincenti, che insegua solo in nuovo a tutti i costi e una visione parziale e limitata dei fatti. E chi invece sostiene completamente l’elenco e la manifestazione come sintomo di un nuovo modo di intendere la cucina e la ristorazione.
Debbo dire la verità, sono abbastanza stupito perché la questione non mi convince affatto, non mi convince questo bisogno fanciullesco di schierarsi in bande e di trovare sempre degli esempi, dei modelli rafforzativi delle proprie convinzioni e del proprio ego. Non mi convince chi cerca e legittima lo strumento Striscia per supportare la propria tesi e marcare la propria differenza, pensando di trovare un pubblico alternativo e più ampio, ma sostanzialmente confermando l’impressione generale del pubblico della società gastronomica come mondo residuale, autoreferenziale e sostanzialmente irritante perso come è in derive ombelicali. E ugualmente mi interessano pochissimo quanti prendono un elenco di ristoranti noti a tutti e cercano di usarlo come un malleus malleficarum per la lotta santa di nostra signora gastronomia.
Non sono i 50best a dirci qualcosa in più sulla ristorazione mondiale: se ci fermassimo a ragionare con calma e disciplina, vedremmo che l’elenco è quello sulla bocca di tutti da tempo. Specchio della realtà e dei locali che frequentiamo e di cui parliamo, con tutti i limiti di un elenco che vuole essere mondiale e quindi un poco dispersivo: si inizia dal Noma di Copenhagen, bellissimo e non proprio una novità, tutti ne abbiamo parlato e ci siamo andati stupiti da una cucina diversa da tutto quello che solitamente si intendeva per grande cucina. Si continua con l’immarcescibile El Bulli che dopo un decennio cede il comando, casualmente quando dichiara di voler trasformarsi in altro. Segue il Fat Duck, l’unico ristorante veramente di altissimo livello della ricca Britannia, del cuoco dal talento assoluto (malgrado le disavventure “sanitarie” degli ultimi mesi) Heston Blumenthal. Poi i fratelli Roca, la coppia che più ha influenzato nei tempi recenti la cucina internazionale: dopo di loro un diluvio di albe, mare , tramonti, boschi e ogni altra evocazione, gli alfieri di una cucina emozionale e consistente. Si continua con il nuovo campione Basco, Mugaritz saldamente sulla bocca di tutti, personalmente mi convince poco ma certo non è una novità. Al sesto posto, il primo italiano, Massimo Bottura il cuoco più in evidenza dello stivale. Così si continua e all’appello non manca nessuno da Barbot a Keller, da Momofuku a Tetsuya, passando per Gagnaire, Pescatore e Robuchon. Insomma come dire: non una rivoluzione. La sola cosa eclatante è forse Inaki dello Chateaubriand al primo posto di Francia: Ratatouille scalza la grandeur delle grandi case del gusto transalpine, ma pure questo ci sta: basta farsi un giro per i tre stelle parigini e guardare chi li frequenta e cosa si mangia per capire che la cucina sta cambiando e che il nuovo in Francia risiede nei GastroBistrot che da almeno un lustro richiamano frotte di gourmet nella Ville Lumiere; poi che la 50best sia una guida poco amica dei galli, pure questa non è una notizia.
Che ci sia un sommovimento nella cucina mondiale, che ci sia un cambiamento nei consumi indirizzato verso una sostanza e una maggiore attenzione al territorio, ai prezzi e alle materie prime, lo sappiamo. Del resto è già successo nel vino e si sa che nel vino tutto accade prima. Ma pensare che sia determinato da 50best è ingenuo e falso: la manifestazione su questo punto si tiene sostanzialmente neutrale registrando solo il reale secondo il suo punto di vista. A noi resterebbe solo da gioire per la vitalità della cucina italiana, che ottiene 5 posti, miglior risultato di sempre, anche questi sono quelli sulla bocca di tutti per certi versi, quelli più in evidenza e spalmati su varie tipologie di locali: dalla algida bellezza del Canto nel cuore di quella Toscana che è oramai il vero nuovo stereotipo italiano sino alla solidità padana del Pescatore, come dire l’alfa e l’omega della cucina dello stivale, in mezzo ci sta tutto. Dispiace che manchi il meridione, ma anche questa, purtroppo, non è una novità: il meridione manca e basta! Segnale di una crisi preoccupante più politica e turistica che locale o di vitalità di una grande cucina, che però rimane defilata lungo le rotte del gusto internazionale.
Insomma il 50best è un simpatico strumento di marketing del cibo, una sorta di Oscar della Ristorazione, un red carpet dove è bello sfilare e farsi vedere, ma ragazzi guardiamoci nelle palle degli occhi credete realmente che influenzi niente? Se uscite per strada e domandate, in quanti lo conoscono?
Foto: https://mauriziozaccaro.myblog.it/