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Cibo
3 Dicembre 2012 Aggiornato il 31 Marzo 2019 alle ore 13:31

Farro. Ode al primo cereale addomesticato dall’uomo, qui con salsicce

Che lo crediate o no la chiocciolina, simbolo e manifesto filosofico di Slow Food, è capitata lì per caso. Sulla costola di un libro letto in attesa che
Farro. Ode al primo cereale addomesticato dall’uomo, qui con salsicce

Che lo crediate o no la chiocciolina, simbolo e manifesto filosofico di Slow Food, è capitata lì per caso. Sulla costola di un libro letto in attesa che il piatto arrivasse a tavola.

Questo è il piatto dell’attesa e della lentezza. Del passato. E’ il piatto dei nonni che lo rimandano ai loro, di nonni. E’ il piatto il cui elemento essenziale si perde nella notte dei tempi: è il primo cereale addomesticato dall’uomo, il farro.


Farro decorticato e spezzato. Integrale. Mia madre, erede di secolari generazioni di massaie, lo butta in acqua calda, prima che raggiunga il bollore. Il fuoco, affatto aggressivo, lo segue nella cottura che avanza per un’ora e mezza, senza mai toccare gli elementi che si legheranno, senza fretta alcuna, fra loro. Quando l’acqua, di sei o sette volte maggiore del peso del farro, si assorbe (avete presente il cous cous?) è giunta l’ora di infondere una manciata abbondante di ciccioli e aggiustare di sale e pepe nero. Per completare la cottura una spolverata di farina di grano tenero, semintegrale, e girare per pochissimi minuti fino a che l’amido dello sfarinato non abbia sancito la liaison degli ingredienti.

Ramaiolo in mano, distribuisce generose razioni di farro polentato su piatti ben caldi. Subito cosparso di una doppia dose di sughi bollenti. Il primo a base di peperoni e ritagli di prosciutto crudo. L’altro con salsicce, di carne come di fegato. Legittimo quanto vietato chiedere perché non sia un unico condimento. Spesso la tradizione non svela i suoi perché. Pecorino a iosa a ricordare le origini di questa ricetta.

Pasto frugale che, nel corso dei decenni, si è arricchito in abbondanza dei condimenti. Colazione invernale di metà mattinata per i pastori dell’Appennino. Svegli prima che faccia giorno in attesa – mai con le mani in mano – che la guazza ritirasse per uscire al pascolo con il gregge. Attesa laboriosa, ma necessaria, perché dicono che fosse causa di aborto per le femmine gravide.

Attesa, concetto ricorrente. Anche per un secondo piatto che non esito, lentamente, a consumare.

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