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Vino
9 Gennaio 2012 Aggiornato il 6 Aprile 2019 alle ore 20:34

Il dopo Nossiter: perché il vino al ristorante costa troppo

Jonathan Nossiter è quasi più famoso per l'intervista a GQ che per essere stato il regista di Mondovino. Di chi è la colpa dei ricarichi sul vino al ristorante?
Il dopo Nossiter: perché il vino al ristorante costa troppo

 

Ma davvero i ricarichi dei ristoranti italiani sono eccessivi? E poi veramente appoggiarsi ad un enoteca distributore è un’idea tanto peregrina o come dice con spirito latino il prode Gionata è  “come delegare ad uno sconosciuto la scelta delle proprie pratiche sessuali…”? Queste le domande che mi ronzavano nella mente al risveglio questa mattina.

Sono stato sempre un sostenitore di ricarichi eccessivi dei vini nella ristorazione, soprattutto quello che non riesco a spiegarmi è come mai tanti ristoranti ritengono giusto ricaricare più sui vini che sul proprio ingegno: la cucina? È inconcepibile, ma tant’è.  Non solo in Italia ma in tutti i paesi del mondo dove esiste una ristorazione.

Ci sono ovviamente le debite eccezioni in Italia, come nel resto del mondo. Mi viene subito da pensare al Trimani wine bar e alla scelta di omologare carta dell’enoteca e del ristorante, o ai gastro-bistrot parigini, il ricarico dei vini in posti come lo Chateaubriand è encomiabile, e ancora a posti come l’Antico Arco che hanno fatto questa scelta da tanto tempo. Ma provatevi a sedere in un ristorante parigino, milanese, londinese o californiano e vedrete che la regola del ricarico è la stessa. Oramai codificata: uno a tre, vuol dire che se io pago 10 una bottiglia, la vendo il giorno dopo a circa 40, per non parlare delle bottiglie da 3 euro ( che in Italia ce ne sono anche di buone), in molti locali si pensa che al di sotto di una certa cifra non sia “elegante” per cui i tre diventano facilmente 20 con un ricarico di uno a sette!

Sicuramente tanto, troppo da giustificarlo con le spese di servizio, magazzino, ricerca e madamamialamarchesa… come ho sentito fare in questi giorni anche da capaci professionisti, a questo dobbiamo aggiungere che mediamente, per i vini base, si mette in vendita quello che spesso si pagherà dopo qualche tempo, perché le aziende che possono permettersi di vendere anticipato o alla consegna sono veramente poche.

Se poi passiamo ai vini a mescita la questione ancora si complica: un mio amico gestore di una delle migliori mescite della capitale, mi spiega che lui con una bottiglia ci fa cinque bicchieri, belli generosi, con tre deve ripagarsi il prezzo di vendita sullo scaffale, per far quadrare la faccenda. Ed è uno onestissimo, quanti sono i bar e i locali dove per cinque euro ti propinano un bicchiere di proseccaccio da battaglia da due euro a bottiglia?

Come vedete, la questione è complicata. Un poco troppo sfaccettata per ridurla ad un inutile “Roma ladrona”, non è Roma il problema, ma la commercializzazione del vino. E anche l’essersi abituati a ricarichi comodi e insensati, sapete dirmi quale altro settore ha margini di questo tipo? Mi si obietterà che ci sono gli studi di settore… Beh se gli studi di settore hanno parametri sbagliati, spetta alla CONFCOMMERCIO o chi per lei farli cambiare. Non può essere la soluzione gravare sul consumo, perché se no poi il consumo si ferma, cosa che sta accadento, provate a chiedere alle cantine quanti vini sopra i 15 euro di partenza si vendono?

Secondo me è proprio tutto il sistema della commercializzazione e vendita del vino che va ripensato. È irrealistico pensare che il sommelier di un ristorante, si carichi l’ammortizzazione di migliaia di euro per fare una cantina, proprio in questo senso (a differenza di quanto dice Nossiter) le enoteche hanno un grande ruolo, possono offrire una varietà di scelta ai sommelier e una quantità adeguata ai propri reali consumi. Se io so che vendo due Monfortino l’anno, perché debbo caricarmene una cassa? Li comprerò, terrò in carta e quando li vendo telefono e ne ordino altri due. Dov’è il problema? Non ho rinunciato alla mia scelta, non ho ammortizzato capitali, ho solo guadagnato apparentemente meno.

Altra cosa, ha senso nel 2012 tutti i passaggi che fa il vino per passare dal produttore al consumatore? In un mondo in cui si alza il telefono e si fanno gli ordini, si apre il computer e si fanno bonifici è possibile ancora avere distributori, agenti, subagenti ecc. La mia idea è che la loro funzione sia per lo più di certificatori del credito: siccome il commercio di vino si fa in gran parte a credito, i rappresentanti hanno la funzione di fare da cuscinetto tra produttori e venditori finali, il tutto sulle spalle dei consumatori finali che si assottigliano.

Questa sarebbe una discussione interessante, non parlare di vini tossici, di buoni contro cattivi: “Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati”. Io provo a buttarla lì, vediamo in quanti mi seguono in questo modo di ragionare…

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