Kamut. 7 cose che ha spiegato Report per mangiare la migliore pasta
Si può dire il Kamut? Esiste il Kamut?
Ma soprattutto, cos’è il Kamut, si chiederanno i lettori che ancora non si sono imbattuti in un pacco della migliore pasta sullo scaffale di un supermercato.
Bernardo Iovene ha proposto una nuova inchiesta con Report dedicata all’agroalimentare concentrandosi sul grano antico che più antico non si può. Dopo aver azzerato miti e false conoscenze su pasta liscia e rigata, sul grano Senatore Cappelli, sulle etichette “UE – non UE”, sul caffè che solo a Napoli lo sanno fare e sulla pizza bruciata, sul cornetto, ecco un altro argomento che farà discutere.
Una puntata vibrante in cui sono entrati i protagonisti del mercato italiano del Kamut, compreso Trevor Blyth, presidente di Kamut International. Quasi tutti perché non c’è verso, come dice Bernardo Iovene, di vincere la resistenza di De Cecco e di Coop.
Ma intanto noi avveduti consumatori ora sappiamo o troviamo confermate molte cose sul Kamut.
1. La storia dell’Antico Egitto e del grano di Re Tut
Il Kamut era in principio il “Grano di Re Tut“. Nome di fantasia come è di fantasia Kamut. E parte da un aviatore americano, Earl Dedman, che nel 1949 ricevette alcuni chicchi di grano di grande formato da un uomo che affermava di averli presi in una tomba in Egitto. Ma forse, dice la Kamut che è l’azienda che li commercializza, era stati acquistati da un ambulante del Cairo che li aveva venduti. Insieme alla storia della tomba egizia. Earl manda 36 chicchi al padre, agricoltore in Montana, che in sei anni li fa diventare 40 tonnellate di grano.
Il “Grano di Re Tut”, appunto. Grano gigante che finì sulle pagine del quotidiano locale di Great Falls nel 1964. E attirò l’attenzione di Bob Quinn. Che laureatosi nel 1977 in Biochimica vegetale stava mangiando dei Corn Nuts, prodotti con mais gigante, quando sì ricordo del grano gigante di Re Tut. Propose lo snack di grano gigante all’azienda che dopo le prime prove abbandonò il progetto. Bob Quinn nel frattempo trasforma l’azienda agricola di famiglia in biologica e nel 1986 e presentano il Grano di Re Tut a una fiera alimentare in California. Il successo li spinse a seminare i 30 chilogrammi di grano “egiziano” di cui erano in possesso e avviarono la produzione fino a registrare il marchio Kamut nel 1990.
2. Il Kamut è in realtà il grano Khorasan
Fin qui la storia della Kamut (azienda) su come è nato il Kamut (grano). Ma Bernardo Iovene non ci gira troppo intorno e subito ad inizio di puntata fornisce le indicazioni necessarie per comprendere l’origine del grano. “Kamut è un marchio che utilizza il grano Khorasan o Turanico. Un grano antico, ma noi in Italia continuiamo a dire il Kamut. Questo fa capire quanto sia diventato potente questo marchio nell’immaginario del consumatore”. Dunque si parla di Kamut come di una specie varietale, ma si cita un marchio commerciale. “È come quando prendiamo il nastro adesivo e si dice passami lo scotch”, spiega Riccardo Felicetti, presidente dell’omonimo pastificio.
Un nome tanto forte che persino l’Europa lo ha citato nel 2011 tra i cereali che provocano intolleranze al glutine. Un errore corretto nel 2014 dal regolamento delegato numero 78.
3. Biologico o non biologico, lo dice il glifosato
E c’è un’altra storia da raccontare: quella del Kamut biologico. L’Italia è il Paese che importa più Kamut dal Canada. E tra le sue proprietà dichiarate c’è la natura di grano biologico. Che per essere certificata non deve avere tracce di glifosato superiori allo 0,01 mg/kg. La provenienza del Kamut, dichiarata da Trevor Blyth, presidente di Kamut International in collegamento con Bernardo Iovene, è il Canada. Ma sulle etichette delle confezioni di pasta esaminate – Conad e De Cecco – non vi è traccia. Si trova solo il famoso “Non UE” che avevamo visto nella puntata dedicata alla pasta. A specificare Canada è solo Felicetti. L’origine è importante perché, spiega Report, il Canada non gode di buona fama per l’uso di Glifosate in agricoltura convenzionale. E questa pratica cozza con un grano assolutamente biologico che può conservare tracce di glifosato superiori al consentito. E quindi non essere biologico.
Nel 2017, Federbio aveva lanciato un’allerta sui rischi di contaminazione del Kamut con 4 su 5 container che risultavano contaminati. Come conferma Paolo Carnemolla, segretario generale di Federbio. Un’allerta rimasta all’interno del settore. Ma Kamut l’aveva respinta e anzi aveva parlato di millantato allarme in una lettera a firma di Trevor Blyth. Il limite di tolleranza al glifosato è più alto in Canada anche se Trevor Blyth dice che per loro i limiti importanti per la certificazione biologica sono quelli italiani.
Fatto sta che dopo l’intervento della Kamut, sul mercato italiano è improvvisamente comparso il Kamut convenzionale. E De Cecco ha modificato le diciture sulle confezioni di pasta Kamut passando da “Grano Khorasan da agricoltura biologica” a marchio di Grano Khorasan non biologico. Anche se, spiega Trevor Blyt, loro continuano a fornire Kamut Khorasan sempre come biologico.
In incognita, un ex dirigente De Cecco spiega che la decisione della conversione da biologico a non biologico della pasta Kamut era stata decisa dal presidente della De Cecco. Nella stessa mail chiedeva di autorizzare il Molino Grassi alla trasformazione di 327 tonnellate di grano in semola che erano state bloccate. E chiedeva a Ostara, unico importatore europeo di Kamut, di provvedere ai quantitativi necessari alla produzione.
De Cecco non risponde a Report, ma Sigfrido Ranucci sottolinea da studio la trasparenza dell’azienda nel passaggio da bio a non bio e l’assenza di rischi per la salute. Il limite più alto del glifosate riguarda solo la qualifica Bio. Nessuna risposta da Coop e da Conad. Ma Bernardo Iovene è andato al pastificio Chigi che produce la pasta per Conad.
3. Chi ha abbandonato il Kamut
La controprova sulla certificazione Bio è affidata a un laboratorio. Il presidente del pastificio Chigi dice che lo hanno scelto loro per nuove analisi. Iovene scopre che il laboratorio sarebbe stato indicato da Kamut. Il Molino Grassi scrive che non risultano segnalazioni da parte dei clienti riguardo alla presenza del glifosate.
Ma c’è chi sta abbandonando il Kamut come Fausto Jori, amministratore delegato di Econatura Sì. E di utilizzare il triticulturanico che è esattamente della stessa sottospecie. Come lo è il Perciasacchi siciliano.
E c’è chi lo ha fatto già. Passando dal Kamut al Khorasan fatto in Italia come Massimo Monti, amministratore delegato di Alce Nero. Anche se in questo modo il prodotto è diventato marginale rispetto a quello che era il Kamut. E ci hanno perso molto in fatturato. “Abbiamo un po’ sottovalutato la forza della notorietà del marchio”, spiega Monti.
La spiegazione dell’abbandono di Trevor Blyth è lineare. È deluso ma “Anche loro si stanno concentrando sul sostegno agli agricoltori locali, allo stesso modo è iniziato il nostro progetto”.
4. Il Khorasan alla prova degli chef
La pasta con semola di grano Khorasan, che ora abbiamo capito essere la varietà del nome commerciale Kamut, è davvero speciale?
A Bernardo Iovene rispondono tre chef che la cucinano davanti alle telecamere.
Mario Ferrara, cuoco di origine lucana cucina un Khorasan Kamut con aglio, olio, pomodoro e basilico. “Un grano molto profumato, personalmente mi porta un po’ indietro nel passato. Bambino, figlio di contadino, scorazzavo nei campi di senatore Cappelli, per esempio, no ecco, mi porta un po’ a quei tipi di grani lì.
Da Fabio Fiore, dove mangiano rigatoni all’amatriciana e tonnarelli cacio e pepe, il Khorasan Kamut è sottoposto alla dura prova del fusillo in bianco. “Unita compatta e pure la cottura è uniforme, mi rimane la dolcezza, mi ricorda qualche frutto secco”, commenta Fiore che poi va di cacio e pepe.
Simone Salvini invece cucina un Khorasan italiano: “Questo è un grande omaggio alla terra siciliana, proprio per gli ingredienti che stiamo utilizzando, dal grano, alle mandorle, ai fagioli e ai pomodori. È come se fosse un archetipo del grano. Davvero straordinario questo Khorasan”.
5. Il Khorasan e la scienza
“Il grano Khorasan cresciuto negli Stati Uniti, ha un contenuto di anti ossidante che era decisamente più alto. E abbiamo visto che la risposta era migliore negli animali che erano stati alimentati con il pane o con la pasta a base di farine Kamut Khorasan. Migliore nel senso che l’effetto infiammatorio si vedeva di meno”. È la spiegazione di Alessandra Bordoni, professoressa di Scienze e Tecnologie Alimentari all’Università di Bologna. Dove la Kamut ha condotto test sulle caratteristiche relative alla digeribilità e ai caratteri antiossidante e antinfiammatorio del proprio grano.
Miglioramenti in termini di minore gonfiore e di dolore addominale sono stati registrati anche da Francesco Sofi, professore di Scienze e Tecnologie Dietetiche Applicate all’Università di Firenze. La sperimentazione con il Kamut è avvenuta su 20 pazienti che avevano problemi e intolleranze con i cereali. E gli stessi risultati sono arrivati con grani non a marchio Kamut.
Anche il professore Massimo Bonucci, oncologo, ha sperimentato il Khorasan a base della nutrizione su 56 malati di tumore al polmone per 3 anni. “Abbiamo avuto un miglioramento della nutrizione un miglioramento di qualità della vita, un miglioramento del sistema immunitario, e poi abbiamo visto che questi pazienti avevano una sopravvivenza migliore”.
6. L’alternativa al Kamut canadese si chiama Khorasan italiano
La differenza tra il grano normale e il grano Khorasan c’è e si vede anche ad occhio nudo. È differente nella forma e nel colore.
Se la pasta è migliore, come dicono chef e scienziati, come procurarsela? Iovene è andato a “fare la spesa” alla cooperativa Girolomoni che coltivano Khorasan sulle colline di Montebello nelle Marche da 30 anni. E ne fanno pasta con il nome Khorasan Graziella Ra.
Anche in Toscana esiste il Khorasan e lo chiamano Etrusco. All’azienda Agricola Il Cerreto lo coltivano da 22 anni e lo utilizzano per la pasta del circuito Natura Sì. Biologico dunque.
Ma probabilmente il Khorasan più conosciuto in Italia è il Perciasacchi siciliano e il suo più famoso trasformatore, Filippo Drago dei Molini del Ponte. “Questi grani hanno dei profumi e dei sapori che sono distinguibilissimi, profumi di aneto, meriloto, camomilla, finocchietto selvatico, che dal campo arrivano fino alla tavola”, spiega Drago.
7. I nomi del Kamut che in Italia è Khorasan
E in Sicilia ci sono già 56 custodi delle 19 varietà di grano per mantenere la purezza del seme. Come Giuseppe Li Rosi, presidente di Simenza.
Che spiega i diversi nomi di un grano nato sulle rive del Mediterraneo e non in Canada né spuntato in una tomba egizia.
“Da noi si chiama Perciasacchi, strazzapisazzi, gnolu, vinciatutti, ma anche 700 anni, probabilmente perché è una delle varietà più antiche arrivate qua in Sicilia”.
E lo troviamo come Etrusco in Toscana, Saragolla in Puglia, Solina in Abruzzo. C’è anche il marchio Santacandida di Tommaso Carone che utilizza appunto Khorasan italiano.
E c’è Oriana Porfiri, agronoma, che nelle Marche lo sta recuperando con Arcoris e altre aziende biologiche. Seleziona i semi per ottenere più varietà di Turanico-Khorasan e l’obbiettivo è avviare una filiera che ruota intorno a questa specie di grano, spiega Bernardo Iovene.
Loro cercheranno non solo un seme in purezza, ma un seme che abbia nome e cognome e una carta di identità. “Che si chiamerà, come ti chiami tu? Si chiamerà Bernardo. Bernardo nasce il giorno x, registrato al ministero dell’agricoltura”.
“Ci mancava la la specie di grano Bernardo”, chiosa da studio Sigfrido Ranucci. Ma la chiusura è questa. In Italia esiste il grano Khorasan che ha meno forza commerciale del nome Kamut ma ha qualità terapeutiche antiossidanti. Ed è soprattutto buono. Anche nella cacio e pepe.