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Cibo
23 Dicembre 2017 Aggiornato il 31 Marzo 2019 alle ore 20:53

L’incubo di Antonino Cannavacciuolo, cioè la differenza tra pesce fresco, congelato e surgelato

La vicenda che ha visto Antonino Cannavacciuolo multato e la moglie Cinzia Primatesta denunciata per frode in commercio al bistrot di Torino, la
L’incubo di Antonino Cannavacciuolo, cioè la differenza tra pesce fresco, congelato e surgelato

La vicenda che ha visto Antonino Cannavacciuolo multato e la moglie Cinzia Primatesta denunciata per frode in commercio al bistrot di Torino, la conoscete.

C’è da dire che qualche errore di leggerezza è stato commesso.

C’è da dire, senza voler difendere alcuno, che la quasi totalità di quanto successo, dalle notizie in nostro possesso, è cosa che nelle cucine si verifica.

L’attività particolarmente puntigliosa dei NAS di Torino ha generato una serie di contestazioni in vari locali della città. Attività giusta, corretta, serve a tutelare sostanzialmente i consumatori, e non mi pare poco.

Nell’ambito di tale attività, e sfido chiunque a negare che Big Tonino non facesse notizia, hanno contestato all’azienda di Cannavacciuolo e famiglia la frode in commercio per mancata indicazione, diciamo così “specifica”, della presenza di prodotti trattati termicamente.

Oltre a ciò, si parla di presenza di prodotti non etichettati, di registri non aggiornati, di cibi del personale non correttamente indicati.

Come sempre si redige un verbale, si commina una sanzione, poi il tutto seguirà il lungo iter italico in materia.

Unico dubbio, e non ci è dato di saperlo, la mancanza di precedenti avvertimenti in proposito. Può darsi che ci siano stati ed il reiterarsi delle mancanze abbia portato alla denuncia, può darsi che non ci sia stato nulla in precedenza, e forse potrebbe essere corretto parlare di funzionari “zelanti”.

Il guaio è che si è sparso a macchia d’olio, essì i social hanno questo difetto, il “populista” concetto dell’Antonino truffatore, che serve pesce congelato al posto del fresco, ovvero dell’Antonino ladro, che “ruba” 70 eurini per un menù di roba da supermercato.

Intervenire in merito è necessario, visto che s’è mischiata anche la salute dei consumatori, in questo caso davvero a sproposito, dato che s’è parlato di pericoli, sostanzialmente inesistenti.

Innanzitutto dobbiamo sfatare il mito del pesce fresco come lo intendiamo (alla buona) noi, da consumatori casalinghi, insomma dovremmo capire che non si tratta del pescetto pescato all’amo in vacanza, come simpaticamente un amico faceva notare ieri.

La pesca massiccia, ovvero quella che arriva nei mercati e poi sulle tavole, segue delle regole ferree, che molti ignorano, fatte di controlli preventivi, pulizie immediate, temperature controllate, bonifiche, alla peggio distruzione, con totale certificazione dell’attività svolta.

L’Italia, già nel 1992, con una Ordinanza del Ministero della Sanità ha fissato le “Misure urgenti per la prevenzione delle parassitosi da Anisakis”.

Pensate che Il regolamento della Comunità Europea che stabilisce le norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale è arrivato nel 2004 (CE 853/2004).

Come gran parte delle norme europee c’è stato bisogno di una circolare, la n. 4379-P del 17/0272011 del Ministero della Salute, per capire come applicare il suddetto regolamento ai “prodotti della pesca destinati ad essere consumati crudi o praticamente crudi”.

Al fine poi, di fornire le corrette info al consumatore che acquista al dettaglio il Decreto 17 luglio 2013 – in attuazione della legge 8 novembre 2012, n. 189 – ha stabilito le “informazioni obbligatorie”.

Riepilogando, visto che il problema è la naturale, possibile presenza di creature che vivono alle spese di altri, i parassiti appunto, sin dal 1992 la problematica viene affrontata. Il regolamento CE ne parla per tutti i pesci, la circolare attuativa del 2011 fornisce chiarimenti nell’ambito ingrosso e somministrazione ed il decreto del 2013 si rivolge ai consumatori, fornendo loro le info per un corretto consumo privato.

Senza dimenticare la fortunatamente non endemica sindrome sgombroide, HPF (Histamine Fish Poisoning), a Milano nuovo spauracchio e spesso oggetto di contestazione da parte degli organi preposti e senza voler parimenti spaventare nessuno, vista la presenza di processi di controllo e bonifica preventivi alla commercializzazione, spiego brevemente come i ristoranti servono il pesce crudo al giorno d’oggi.

Pesce surgelato e pesce crudo

Innanzitutto parliamo di surgelamento, processo che permette di far penetrare il freddo molto rapidamente riuscendo così a gelare i liquidi all’interno delle singole cellule formando cristalli molto piccoli. Al momento dello scongelamento, i liquidi tornano tali senza causare traumi e rotture all’interno dell’alimento e si ripristinano le condizioni tipiche del prodotto fresco, cioè come era prima di averlo sottoposto al trattamento col freddo.

Tale processo è obbligatorio per tutti coloro i quali svolgono attività di somministrazione, visto che il consumo crudo o parzialmente cotto di sgombro, sardine e pesce azzurro in generale (attualmente, anche nasello, triglie, merluzzo, san pietro, pesce spada, tonno, ricciola, branzini ed orate vengono sottoposte comunque a controllo) deve essere preceduto da almeno 24 ore a -20°C, ovvero da cottura ad una temperatura oltre i 60° C mantenuta per oltre un minuto, cosa che credo non interessi a nessuno se si vuole servire e/o consumare pesce crudo.

Grazie all’abbattitore, strumento che permette di raggiungere velocemente (max 240 minuti) la temperatura corretta, si cerca, quindi, di mantenere il più possibile inalterate le caratteristiche organolettiche.

Pesce congelato a casa (o di scarsa qualità)

A casa, invece, sono necessarie almeno 96 ore a -18°C  in un frigo utile ad effettuare il congelamento.

Si tratta di un processo più lento che forma cristalli di ghiaccio più grandi, cosa che, quando si riporta il prodotto a temperatura utile per il consumo, indebolisce la struttura del pesce, rendendolo molle e meno piacevole al gusto, il classico “pesce congelato” per capirci.

La sicurezza innanzitutto

Piccolo riepilogo alla fine di questa cavalcata: il prodotto arriva al ristorante e viene lavorato rapidamente per evitare sbalzi di temperatura, verificato, eventualmente porzionato, abbattuto e conservato per il successivo utilizzo. Va registrata l’entrata, lo stato del prodotto ed a fine lavorazione, deve essere etichettato. Spesso parte di queste attività non vengono eseguite all’istante, ma effettuate con leggero differimento e non per negligenza.

Quindi, cari amici, nessuna truffa, solo tanta attenzione per il consumatore.

[Massimo D’Alma]

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