Il caffè è morto a Napoli, spiega Report. Come difendersi al bar
Diciamolo subito: dopo aver visto la nuova puntata di Report La Repubblica della Ciofeca sul caffè a Napoli – ma non solo – il pensiero è andato all’ultima puntata sulla pizza. In 8 anni, dal 2014 al 2022, per la pizza le cose sono cambiate in meglio. Per il caffè c’è ancora molto da fare e nulla ha potuto Bernardo Iovene autore dell’inchiesta. Che pure è riuscito a far cambiare idea sulla pizza fatta alla come capitava. In 10 anni e due puntate (l’ultima qui), Andrej Godina modificherebbe di poco il voto di 3,5 (che era comunque salito dal 2) sul caffè di noti bar partenopei.
Se è ritornato nuovamente nella nuova puntata il sapore “copertone di gomma”, il giudizio più terrificante lo ha dato Omar Zidarich, Presidente Gruppo Italiano Torrefattori. Che ha bollato come “incuranza” la scelta di tostare i chicchi – ma sarebbe meglio dire spremere – di caffè fino a fare uscire l’olio in superficie. Tostatura che è a cura dei torrefattori, cioè dei soggetti che presiede.
Copertone di gomma e incuranza sono le parole chiave dell’inchiesta di Report sul caffè
Una vittoria, se così si può definire, Napoli l’ha ottenuta. Ha esportato il credo della tostatura scura che spacca il chicco di caffè e alla fine conferisce quel sapore di copertone di gomma che diventa copertone bruciato nei casi più estremi. Se alla pizza bruciata c’è stata l’opposizione dei consumatori che hanno iniziato a guardare il fondo delle pizze, non altrettanto può dirsi per il caffè. Campane sporche (i contenitori dei chicchi di caffè che vengono macinati), purge dimenticato (cioè la pulizia della doccetta dell’acqua), per non parlare della pulizia di filtri e beccucci.
Cui si sommano pratiche invasive e incendiarie come servire il caffè nella tazzina bollente (pratica che personalmente mi vede fiero oppositore) e pure il cucchiaino bollente. In ossequio a pratiche di stregoneria del caffè che ancora ritengo oscure. E non sono nato a Bolzano. Con l’epilogo del caffè già zuccherato “perché la vita già è amara”. L’abominio maggiore che serve a coprire quel dannato sapore di copertone di gomma.
Lo ha provato anche Bernardo Iovene con una smorfia che vale più di qualsiasi testo scientifico. Smorfia seguita all’offerta di un caffè in bicchiere di plastica dei “profughi” in zona Forcella. Non c’è rimedio alla tostatura violenta e al conseguente snocciolare degli errori di estrazione (ma sarebbe meglio chiamarla brasatura) della polvere di caffè nelle mani di baristi dichiaratisi autodidatti. L’amaro, o il cioccolato – muschio a stare leggeri, ti guarda dalla tazzina. Io provo a stordirlo con un goccio di latte freddo che abbassi le temperature infernali cui molti bar sottopongono le labbra dei clienti. Ma è un palliativo che serve a poco.
Il gusto napoletano è diventato gusto italiano
Non si fa mai di tutta l’erba un fascio, ma le possibilità di incappare in un bar che serva un caffè a mestiere sono statisticamente molto basse. A meno di non avere una mappatura sicura. Capirete, però, che se anche Illy ha capitolato per assecondare i gusti del mercato, la faccenda si fa ancora più complicata. Riporto il passo dall’inchiesta di Report sul caffè con le parole di Bernardo Iovene. “La tradizione è il gusto napoletano ormai nazionalizzato. Anche Illy, che utilizza solo arabica di qualità, da qualche anno ha deciso, per venire incontro al gusto italiano, di proporre una tostatura scura, anche se i chicchi nessuno li vede, nemmeno il barista, perché sono sigillati in questo imballo di latta”.
Per difendersi quindi bisogna andare in auto tutela. E come moltissimi clienti hanno fatto con la pizza rimandando indietro pizze che venivano definite “stampate”, ma che erano bruciate, così i bevitori di caffè al bar dovrebbero procedere all’esame critico.
Le 10 regole che il bar deve rispettare per un buon caffè
1. Poco si può fare sulla tostatura dei chicchi che hanno preso la via oscura. Ma ricordiamo lo stesso che un chicco di caffè deve, dovrebbe, essere secco. Quindi niente olio sulla superficie dei chicchi da macinare. E il colore deve essere chiaro, non “arruscato” come ha provato nella difesa d’ufficio Mario Rubino , Presidente di Kimbo. Questo vale per voi che vi macinate il caffè a casa.
2. I chicchi di caffè devono restare tali fino all’effettivo utilizzo, quindi macinati sul momento e subito va estratto il caffè. Quelle belle campane gialle e oleose in mostra in tanti bar che poi zzzzzzzzzzz avviano la macinatura servono solo per far diventare rancido il caffè.
3. Non parliamo poi dell’abitudine adottata dai bar più frequentati che macinano preventivamente il caffè e lo mettono nei contenitori più disparati, uno per tutti la zuccheriera con tanto di mezzo coperchio sollevabile. E ritaglio per ospitare lo stelo del cucchiaino. La maniera migliore per far volatilizzare del tutto gli aromi che invece dovrebbero essere estratti e stare nella tazzina.
La pulizia è obbligatoria
4. Il purge, cioè quella pratica di fare uscire l’acqua dalla doccetta – la parte superiore delle macchine espresso da bar su cui si inesta il filto – deve essere fatta O-B-B-L-I-G-A-T-O-R-I-A-M-E-N-T-E prima di ogni caffè. È una sonora puttanata che il precedente caffè dia più sapore al caffè successivo. Mica state parlando di pasta di riporto nella pizza. Berrete solo una percentuale di acqua sporca insieme al caffè.
5. La pulizia è un elemento fondamentale di tutto il percorso di estrazione per avere se non un ottimo caffè almeno uno che sia decente. Quindi, campane pulite – lucide – filtri a specchio, beccucci senza escrescenze di polvere impastata. Come dice Giovanni Roitero, trainer e assaggiatore specializzato, nell’inchiesta sul caffè di Report “Più pulito è, meglio è. E il cuoco, mica cucina la bistecca su una pentola sporca”. Basta guardare le immagini delle tazzine piene di acqua sporca e chiedersi se vi fareste mai un bagno in un’acqua così. Berla poi…
Il topo che fa bene al caffè lo spiega Report
6. La coda di topo. Dovrebbe essere una schifezza associata al caffè e invece è un indice di bontà. La definizione riguarda il filo di caffè continuo che esce, appunto a coda di topo, dal beccuccio della macchina espresso. Se esce a goccia e/o in maniera irregolare dal beccuccio può volere dire tre cose: “Macinatura troppo fine. Beccucci molto sporchi. Filtro intasato”. Parola di Fabio Verona, responsabile formazione di Costadoro. Scommettiamo che il caso macinatura troppo fine è residuale?
“Il caffè tende a essere bruciato perché l’acqua rimane troppo tempo a contatto con il caffè e di conseguenza lo va un po’ a bruciare e quindi poi quel bruciato lo porteremo nella tazza quando andiamo ad assaggiarlo”. È la spiegazione tecnica di Massimo Dagostini, trainer Amigos Caffè.
“So già che berrò un caffè bruciato. L’acqua trova una resistenza. Non riesce a passare. Trovando questa resistenza ristagna all’interno del nostro pannello del caffè e va a bruciare di nuovo la nostra polvere”. Rincara la dose Francesca Bieker, esperta formazione Sca Italy e giudice internazionale.
Facciamo così. Equivalenza con la pizza. La mangiate o la mandate indietro una pizza che manco alzate e di cui vedete il cornicione bruciato? Quello è il vostro caffè goccia a goccia.
Sintomatologia della tazzina bollente e dello zucchero
7. Francesca Bieker è diventata il mio idolo in fatto di caffè grazie a Report dopo la domanda di Bernardo Iovene. Mezzo ustionato e per niente convinto dalla spiegazione dello shock termico fornita da Antonio Di Martino, titolare dello Chalet Ciro. Che sforna caffè brucianti a migliaia ogni giorno (ha 134 dipendenti divisi su tre turni). “Niente deve creare uno shock termico al caffè”. Al cliente evidentemente, sì. Ma ascoltatela. “No, la tazza non deve essere bollente, perché io non riesco neanche a portarla alle labbra. E in più, più è bollente, più tenderà a bruciare anche in questo caso il mio caffè”. Come si dice sui social, Adoro.
8. Lo zucchero e il latte. Ne ho fatto già ammenda. Metto latte per non sentire “l’aroma” del copertone bruciato da una improvvisa frenata a ruote fumanti. Ma ne sono consapevole. Meno capisco le badilate di zucchero gettate in una tazzina che dovrebbe ospitare una bevanda fresca e non una pece infernale.
Facciamo così (2) come con la pizza. Dopo non aver digerito non si sa quante pizze per la credenza che il lievito si muova nel vostro stomaco, avete trovato la vostra pizza perfetta. Cercate il confronto con un altro caffè, un caffè diverso cui siete abituati. Semmai uno specialty filtro lungo che – senza zucchero aggiunto – vi regalerà freschezza come fosse una bibita. E poi con la vostra bocca profumata, cercate un espresso che si avvicini. Se riuscirete a fare a meno dello zucchero siete sulla buona strada. Se già non lo prendete con lo zucchero o siete fachiri o vi starete chiedendo come beve male il resto del mondo.
Ancora Report sul caffè, ma in Italia: se Napoli piange, Trieste non ride
9. Il caffè geneticamente modificato non esiste. O meglio non dovrebbe esistere la differenza genetica delle papille napoletane, ma ormai italiane, quando si tratta di apprezzare un caffè con sentori di terriccio, di muschio, di muffa, di copertone. E questo anche se un milione di clienti del Caffè degli Specchi a Trieste non l’ha mai notato. Eh sì, perché se Napoli piange, Trieste non ride. Lo spiega efficacemente il solito Andrej Godina che ha seguito con gli assaggi diverse puntate sul caffè. La sua risposta plastica al titolare del caffè triestino. “Se tu a un consumatore gli hai fatto sempre bere vino che sa di tappo, lui non sa la differenza. Quindi siete voi che non fate cultura al consumatore e li abituate a bere i difetti. Questo è il problema”.
Ripetete con me: non è che se c’è una fila davanti al locale automaticamente quella pizza o quel panino sono i migliori del mondo. Altrimenti non esisterebbe il junk food.
10. Ne consegue che se un barista non fa il purge (che resta l’operazione più evidente e più diretta sulla vostra tazzina) avete due possibilità. Farlo notare, chiedere gentilmente di rimediare alla sbadataggine, sperare che il resto sia a posto. Oppure ascoltare chi ne sa più di voi perché fa il mestiere da tot anni (o perché Report è fazioso sul caffè o qualsiasi altra cosa), annuire e lasciare la tazzina sul bancone.
Napoli è imbattibile sul caffè anche a Report
E ritorniamo alla tostatura che più tostata non si può. Di cui i napoletani avrebbero appunto cultura genetica nelle papille. Il siparietto tra Bernardo Iovene e Mario Rubino ci conferma l’intoccabilità del caffè napoletano che ha saputo resistere meglio alla modernizzazione (necessaria) della pizza. Che da chiuditiva dello stomaco (De Crescenzo cit.) è diventata leggera e scioglievole. Il caffè napoletano, invece, si ostina a restare impermeabile e anzi vuole assurgere a patrimonio dell’umanità, bruciato o non bruciato. Anzi arruscato (qui la replica dell’azienda napoletana). Riporto.
“Ecco qua. Questo è il vostro chicco. È scuro. È oleoso” (Iovene).
“Arruscato” (Rubino).
“Significa bruciato in napoletano? (Iovene).
“No, bruciato no. L’arruscato è una cosa diversa. È una situazione diciamo fisica che non ha raggiunto ancora il punto di diciamo di bruciatura quindi però è la massima espressione di quelli che sono gli aromi contenuti all’interno del chicco di caffè” (Rubino).
[…]
“Se tu vieni a Napoli, però, la parmigiana di melanzane te la mangi arruscata perché ha un sapore maggiore rispetto a una invece bella… diciamo che ha… pallida, pallida? Quando mangia il ragù, il ragù deve essere azzeccato sotto? Quando ti mangi la pizza deve essere…” (Rubino).
“Bruciata sotto?” (Iovene).
“Bruciata sotto no, sto parlando del cornicione, bruciata sotto sono d’accordo con te, ma deve essere cotto il cornicione? La genovese deve essere bene rappresa? Bene, questa è l’arruscato napoletano. È il gusto forte. Probabilmente noi abbiamo delle papille che percepiscono questo gusto nostro. Noi napoletani… geneticamente modificati, io sto lavorando proprio diciamo con la neurofisiologia perché voglio dimostrare che noi napoletani abbiamo delle papille che sono geneticamente modificate e che percepiscono in modo diverso quello che è il gusto che altri considerano un gusto sbagliato” (Rubino).
Il caffè non è vino
Si sbaglierà Godina quando parla di vino che sa di tappo ma se hai bevuto sempre solo quello ti sembrerà il normale gusto del vino.
Che ci sia anche una responsabilità dell’ultimo miglio, dei baristi che non eseguono a dovere il processo di estrazione è anche giudizio di Francesco Lo Vasto, direttore strategico di Passalacqua (qui la lunghissima replica). Per lui, riassumo, chicchi di caffè così tostati e oleosi vanno lavorati velocemente, on demand. Macinato e bevuto, insomma. Che poi all’estero, pure a Creta, mostrano di rispettare le regole di estrazione.
Il caffè napoletano contemporaneo è la speranza
Per fortuna il servizio di Report sul caffè si chiude con Bernardo Iovene ritorna nella culla della napoletanità verace, via Tribunali. Ma non per la pizza. Per il caffè. Perché c’è il Caffè Diaz – mandate a memoria questo nome – con Andrea Grieco, torrefattore, che fa tutte le operazioni per ottenere un perfetto caffè. Anzi, fa di più. Perché serve anche il caffè filtrato con la cuccumella. Una tradizione antica napoletana che si era persa. E che qui vede, oltre alla tostatura media scura geneticamente napoletana, una miscela 100% arabica tostato medio e due singole origini che sono Specialty Coffee. Capito cha ai Tribunali fanno il caffè napoletano contemporaneo?
Chiude Sigfrido Ranucci da studio che al solito un po’ medica e un po’ acciacca. Nessun problema per l’acqua sporca da mancato purge secondo l’ASL. “Però c’è un tema, e questo non lo diciamo noi, ma lo dice il professor Matteo Russo responsabile della Ricerca del San Raffaele Pisana Roma, cioè quando le particelle di caffè rimangono troppo esposte al calore e vengono sottoposte, rimangono lì perché non si pulisce, e vengono sottoposte a più filtrazioni di caffè, ecco, lì potrebbero generare delle sostanze potenzialmente tossiche, si tratta di furanici e tracce di acrilamide due e sono sostanze che si liberano con le alte temperature”.
Non so chi mi ha convinto tra ASL e Ranucci che riporta Russo. Però se mi dicono facciamoci una pizza, vedo un amico. Se mi chiedono “prendiamoci un caffè” non sono tanto sicuro che l’invito sia benevolo.