Miracolo a Milano/19. Taste of Milano 2012. Le migliori tastate a nostro sindacabile giudizio
“Dimmi che posso…”
Cosa?
“No, dai, dimmi che posso davvero…”
Ma cosa!
“Dimmi che posso venire anch’io a Taste!”
Certo, non l’avevamo già deciso?
“E allora posso davvero? Cioè, se vengo lì poi posso, no?”
Ma cosa?
“Eh… a Taste.. si tast…”
No! Non dirlo non pensarlo non farlo ricominciamo il pezzo – ci manca solo che passi il mio tempo a Taste a correre dietro a Totò che “tasta” qua e là (“Ma in senso biblico!”).
Insomma, la partenza è stata questa. Grazie al cielo la nostra permanenza a Taste è stata più “normale”, meno tragica di quanto non si prospettasse all’inizio.
Come ti è sembrato Taste?
“A-ehm… dunque… Un consesso di scienza culinaria, un convegno di saperi e sapori, una kermesse pantagruelica, un…”
A Totò Taste è piaciuto. Anche a me – nonostante l’acqua (meno dello scorso settembre, comunque), e Totò da sorvegliare, e tutto il resto. Dodici cuochi, ciascuno con tre piatti, per un totale di trentasei assaggi possibili (“Posso assaggiare anche i piatti per bambini?”); stand ricolmi di ogni bontà lì a disposizione (“A disposizione? Allora vado a prendermi quel Pata Negra intero e il prosciutto affumicato di Praga Lenti e l’olio da 25 litri di Fabio Sidoti e sei o sette Tête de Moine e il riso…” – e basta…); incontri lezioni degustazioni (“Ah ma quella dei formaggi svizzeri viene ripetuta? Che bello allora vado!”). Un’atmosfera comunque rilassata, di festa (con i cuochi che sembrano divertirsi più di tutti), nessuna protesta particolare per le code, un’organizzazione che migliora ogni anno, direi.
Vuoi dirci qualcosa dei piatti che hai assaggiato?
“Sedici.”
Ma veramente a me sembrano ventisei.
“Sedici, ventisei – parliamo di contenuti, piuttosto.”
Va bene.
“Partiamo da D’O. Come ti sembra?”
Davide Oldani ripropone ancora una volta la sua cucina, ormai classica, e sempre con delle idee chiare e ben realizzate. Corallini mantecati, zafferano, uvetta nera e buccia di limone veramente buoni, come Pane, pepe nero, marsala Vecchio Florio e riso; interessante la Tartare di pasta di salame, birra in salsa e profumo di caffè.
“Che serietà!”
Non saprei cos’altro dire – sono un estimatore della sua cucina pop, e raramente ho trovato cose che non mi sono piaciute (una volta, forse…).
“Anche a me è piaciuto – ma aspetto ancora che mi ci porti! A me invece è piaciuto molto Benares: i piatti di Atul Kochaar li ho trovati ottimi.”
A me sono sembrati buoni – ho assaggiato solo gli Aloo Tikki, i tortini vegetariani di patate con la salsa chutney speziata al pomodoro, e Meen Molee, filetto di pesce in salsa di curry al cocco e riso aromatico al vapore. Magari dovrei conoscere di più la cucina indiana, per avere una prospettiva migliore sui piatti: non mi hanno impressionato in modo particolare.
“E quali sono gli chef e i piatti che ti hanno impressionato di più?”
Allora: Matias Perdomo con il suo Sashimi di bue e foie gras, salsa bernese e umeboshi: è uno di quelli che se la gioca come piatto preferito. Ci sono diversi chef che mettono il foie gras nei loro piatti: ma qui mi sembra ci stia particolarmente bene (“Una cosa sublime!”). E poi intanto che aspettavo Perdomo stava lì a preparare lo zucchero filato che accompagnava la mela caramellata del suo piatto-kids – con rara maestria, direi, o comunque con aria divertita: un punto in più.
Mi è piaciuto tutto di Filippo Gozzoli, tornato a Milano dopo una breve parentesi “in campagna”: ora è Da Claudio, la pescheria che ha da poco aperto un ristorante, e ha proposto tre piatti di pesce – fra cui un buon Baccalà mantecato con chips di polenta (sembra che ormai tutti debbano avere in carta un baccalà mantecato, o prepararlo comunque appena possibile, dove possibile; questo è uno di quelli fatti bene, un po’ nuovo e un po’ vecchio – magari il chip di polenta non aggiungeva un gran che…), e un’ottima Pasta con ragù all’amatriciana e mazzancolle al micri (“Buonissima davvero, anche se non so cos’è il micri – una specie di emulsionante, mi sembra di aver capito, ma chissà…”): una combinazione perfetta.
“A me è piaciuta Alice.”
Anche a me: la Panzanella di verdure con crostini e tartare di branzino, l’Omaggio a Sofia (pizza fritta pomodorini confit limone candito bufala bavarese di pomodori, ancora più buona dell’anno scorso) una cosa stupenda, e – “E Sole mio, la pastiera napoletana rivisitata, con quella specie di pellicola dorata, e gli ingredienti uno sopra l’altro, dolce senza eccedere, buona sopra ogni dire, una delle cose più buone di tutte le cose buone che la bontà…” – ecco, si è capito – ci è piaciuta molto. Un altro piatto da mettere sul podio.
“Assieme direi all’Omaggio a Magritte (questa non è una linguina al pomodoro) di Matteo Torretta – non foss’altro per il nome del piatto, non trovi?”
E al Kobe Roll Ume (germogli di soia e asparagi avvolti in carne wagyu cruda o cotta in vinaigrette di lime, olio extravergine e prugna giapponese), di Roberto Okabe-Gustavo Young, consegnatami direttamente da Gustavo: anche questo mi piace molto, i cuochi sorridenti, che sembrano quasi rilassati, che entrano ed escono dalle cucine (loro e altrui), in un’atmosfera fra il campeggio e il cazzeggio…
Il Liberty: ottimo tutto, Hot dog di branzino arrosto e ricci di mare, crauti brasati, maionese al lime e chips di patate, Spaghettini Latini Selezione Senatore Cappelli al pesto di agrumi e tartare di gamberi mazzancolle, Il mio vitello tonnato, lombo di vitello rosa, tonno fresco, maionese ai capperi e acciughe su carpaccio di asparagi. Andrea Provenzani mi è piaciuto forse più dell’anno scorso. Gli altri chef: beh, bravi, cose buone – non da urlo, forse.
“E Carlo Santi?”
Anzitutto, lui è Lorenzo Santi: Carlo è il nome del ristorante, anzi, il nome è la Maniera di Carlo.
“E va bene – però è buono…”
Buonissimo. Non ci sono ancora stato (“Nemmeno io, se è per questo: quando andiamo?”), ma i suoi piatti mi hanno entusiasmato – lo Spaghettone nero in carbonara di mare affumicata con the Lapsang Souchong, la Coppa di maialino in bassa temperatura ripiena di erbe aromatiche con crema di carote e lemongrass, e soprattutto la Parmigiana di melanzana liquida – “Liquida?” – no, non era esattamente liquida, diciamo che le melanzane i pomodori erano un passato, una – “Ma no, non dirmelo: io non l’ho assaggiata, mi porti da Lorenzo Carli e la mangiamo là” – Lorenzo Santi, non Carli!
Lorenzo ha 23 anni secondo alcuni, 27 anni secondo lui, secondo me è un 15enne come spirito, molto più “vecchio” come capacità. La sua Parmigiana è un altro dei piatti da podio. Bravo bravo bravo – anche se lì in mezzo attribuire l’aggettivo “bravo” a qualcuno è un pleonasmo (“Cos’è? Non l’ho mica assaggiato”), Lorenzo lo è davvero.
Foto: Bruno Cordioli