Ritorno al futuro. Quanto è buona la cucina di mare alla Taverna del Capitano
Se ti mangi i ricordi e l’adolescenza, per me Marina del Cantone è una pentola che sobbolle di continuo. Non l’ho vista quando era un borgo raggiungibile solo a piedi, ma la ricordo nei suoi ciottoli levigati da sempre che sembravano alzassero il profumo del mare. Monte San Costanzo con il suo scendere alle Mortelle che chiudono la baia a est e gli inconfondibili profili gemelli delle balze, la chiesetta all’altro lato con il balcone di legno del ristorante Maria Grazia e al centro la Taverna del Capitano con le scale che ora portano ai grandi parcheggi.
Davanti la rada, via via nel tempo sempre più popolata di barche, ancora oggi un gozzo può ricordare la storia di un mare pescoso. Quella storia che Alfonso Caputo, chef stellato ed erede della tradizione culinaria del ristorante di famiglia, descrive puntualmente nei suoi piatti. Le ho riviste e riassaporate le mareggiate estive con tutto lo iodio che sembrava polverizzarsi insieme alle pietre che friggevano sul bagnasciuga. E alle spalle la cucina della Taverna del Capitano proprio nel tratto di spiaggia che sembrava più tranquillo a noi che non volevamo perdere nemmeno un bagno. Un flash back istantaneo quando è arrivato il filetto di palamita cotto sulla pietra arroventata accompagnato dal crudo e dal suo fegato. Un pesce della baia e del mare profondo che non si dimentica.
Non è stato il primo piatto ad arrivare. Le buone maniere e il territorio, di riserva marina e di pendici scoscese e coltivate a terrazze tra gli ulivi, si era già materializzato con il sauro su riso Venere e salsa di broccoli. Non fai fatica a credere che gli ingredienti siano forniti dai “fidati pescatori della baia” e “i prodotti ortofrutticoli provengono da selezionate colture biologiche” come avverte il menu. Alfonso Caputo ne è tramite ed esaltatore. Potrebbe esserci, continuo a leggere, qualche variazione in base agli arrivi bi-giornalieri di pesce. Sono contento che non siano mancati i gamberetti con le loro uova, le olive e i capperi. Di nassa mi avverte Claudio – maître e marito di Mariella Caputo – e mi spingerei a chiedere se si pesca ancora sui banchi al largo triangolando con la torre saracena e la “villa dei tedeschi”. Ma forse era dimora di altra nazionalità. Piatti buoni e coinvolgenti almeno quanto il panorama che si respira dalle ampie vetrate della sala.
L’aria del mare che si alza dalla spiaggia diventa più evidente con la zuppetta di mazzancolla e vongole veraci. Mare + mare + terra. Formula che si ripete in una spettacolare triglia di scoglio avviluppata al fiordilatte, alla ricotta e al fiore di zucca. Che lampeggia irrimediabilmente nella memoria delle pastelle fritte e degli spaghetti alla Nerano con le zucchine. Sarei quasi tentato di compierla questa digressione della memoria e chiedere gli spaghetti con la ricetta segreta mentre riassaporo il Pian di Stio di San Salvatore 1988, altra costiera – quella cilentana – se non montagna, di cui mi piace freschezza e design.
Gli spaghetti sono ancora più classici nel nome: aglio, olio, peperoncino. Ma accompagnati dalla seppia e dalle sue uova. Magnifici, penetranti e indimenticabili. Troppo pochi e non è un vezzo del raccontare perché il piatto è molto invitante pur essendo oltre metà del percorso. Mi riconciliano anche con la filosofia di Alfonso che si “fabbrica” la pasta secca in casa in questa completa celebrazione dell’autarchia territoriale.
La bracioletta di dentice imperiale con il suo ripieno di asparagi, finocchietti selvatici, pomodoro fresco e origano fa respirare l’atmosfera di festa delle preparazioni casalinghe in guazzetto, ma con il piglio raffinato di una grande tavola. Forse è ancora il ricordo di un tempo a restituire l’immagine delle processioni che si inerpicavano lungo le strade fino al cocuzzolo che ospitava la chiesetta e del confort food che sapeva di pomodoro al ritorno a casa.
Tasto del tempo pigiato con ironia dal fiordifragola, il gelato sullo stecco che insieme allo zucchero filato era la bandiera delle serate di festa patronale a Termini, un’altra delle frazioni di Massa Lubrense, con la chiusa sulla terrazza naturale del Mira Capri, bar che ancora oggi esiste a distanza di più di 30 anni con eguale panorama sull’isola azzurra. Ben diverso dal proliferare di sagre di questi anni. Un continuo passeggiare tra passato e futuro (e i sapori al limone) questo di Alfonso Caputo che chiude il senso di una tradizione che si perpetua e si rinnova anno dopo anno, portata dopo portata.
Marina del Cantone non è solo un’insegna turistica e il vociare affollato dei giorni di villeggiatura resi ancora più caldi da quanti la scelgono come meta di bagni, ma è anche un modo di intendere la cucina esaltata da diversi chef. E Alfonso Caputo con la sua scelta di identità territoriale e di attenzione ai dettami migliori dell’ospitalità e della ristorazione ne è fiero rappresentante. Un tour gastronomico in costiera sorrentina, terra baciata dal successo in cucina, non può prescindere da una sosta alla Taverna del Capitano.
Taverna del Capitano. Piazza delle Sirene 10/11. Località Marina del Cantone – 80061 Massalubrense (Napoli). Tel. +39 081 808 10 28