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27 Aprile 2011 Aggiornato il 1 Dicembre 2011 alle ore 10:26

Un marziano a Roma/30 Baldassarre si accomoda al Salotto Culinario

‘Sto Qwerty sta a diventà strano. A furia di frequentare intellettuali come il Bocchetti, s’è messo pure a leggere. E mai errore fu più grosso. Ha
Un marziano a Roma/30 Baldassarre si accomoda al Salotto Culinario

‘Sto Qwerty sta a diventà strano. A furia di frequentare intellettuali come il Bocchetti, s’è messo pure a leggere. E mai errore fu più grosso. Ha scoperto il suo prototipo flaianeo, e ora lo imita. Per portarlo a cena, stavolta è toccato andare ripescarlo in un bar del Mandrione, vestito con Burberry bianco fuoristagione e berrettiello con visiera, che giocava al videopoker (i flipper oramai stanno al Moma…) aspettando che qualcuno dei ragazzi de borgata lo apostrofasse col fatidico: “A’ marzià, facce ride…”. Ovviamente, non se l’è filato un cane. Quanto a cose da mangiare, lì in area vi lascio solo immaginare. Così, siamo andati a prelevarlo noi.

Obiettivo? Non un altro extraterrestre, ma un extra-urbense, diciamo così. Un filo “marziano”, a ben vedere, pure lui: Adriano Baldassarre, il genietto del Tordo Matto di Zagarolo (do you remember?), il quale, dopo un corposo pit-stop durato un annetto e mezzo a Tivoli, ha fatto un altro significativo passo nella sua marcia di avvicinamento ai Fori (Adriano, diciamocelo, somiglia sempre più a quei giovani e dotati generali della Roma antica che, fidenti, spesso a ragione, in un posto importante nella storia e nelle cronache della Città Eterna, si accampavano con le loro fide legioni a un passo dalle mura aspettando che il dì prescelto dagli dèi arrivasse).

Il posto dove Adriano (un nome, una vocazione) ha brillantemente alloggiato le sue legioni (di idee gastronomiche, ovviamente) si chiama Salotto Culinario. Ci si arriva oltrepassando d’un balzo il GRA in direzione Frascati, per poi invertire appena si può “along the Tuscolana”, e fare sosta davanti alle ampie vetrate del locale, affacciate su interni in evidente contrasto con l’outdoor, merlato anzichenò e abbastanza sui generis. Dentro, luci misurate, e bianche vetrine con belle bottiglie in mostra, e un banco di molteplice fruizione. Personale giovane. E i “messaggi” a vista dalla cucina targati Adriano.

Il primo? E’ un cannolo di burrata, acciuga, scalogno e misticanza, che mima, ammiccando, l’entrata diretta e territoriale (scrive del resto sul menu il nostro: ) del burro & alici, coni equilibrata, stuzzicante corposità. Traduzione: ce sta…

La sequenza decisa per la Qwerty night dallo chef dal nome imperiale prevede poi un rapido sviluppo.

Le verdure dell’orto cotte & crude (tra queste i piselli, veracissimi, ma di vario volume e consistenza, dunque non di costante dolce/morso), uno strillo di stagione, di volutissima, quasi ascetica semplicità. L’effetto del pensiero c’è, l’esplosione forse è rinviata.

Il carpaccio di gobbetti, tappeto patchwork di rosea accattivanza, profumo d’olio buono, spinta di sale Maldon, contrasto verde di foglia giusta per consistenza. Uno dei piatti più quintessenziali, e insieme anche appaganti.

La polpetta di coda, ed è un bel ritorno. I cubi di Baldassarre (rubikiani solo nella forma) ottenuti dal “lavoro” di disosso della coda condita con tutto quel che (idea di cacao inclusa) la storia del piatto prevede, erano un classico già al Tordo; e qui approdano di diritto (come pure il raviolo trasparente d’ostrica, nell’occasione non ri-assaggiato però). Dai cubi, cubicamente perfetti come già dalle origini, inizia a manifestarsi però una piccola tendenza al “sovrassapore” (qui sapidità, piccante invece nei presto in campo spaghettoni allo scoglio, ancora personalità sapida del guanciale sul successivo gnocco/raviolo di patate) affiorata qua e là nella serata.

Nella pioggia generosa degli assaggi, fa il suo anche il cacio fritto con miele & peperoni, dove il “ponte” dolce è allungato anche dall’uso misurato di glucosio: interessante, non sconvolgente.

Nel gioco del peperone fa di più, e più colpo alle papille, quello crusco che fa da spalla (ma è quasi coprotagonista) all’uovo cotto a bassa temperatura, rifinito dai profuìmi del provolone dolce. L’uovo a bassa è un deja vu, ma se la mano è alta…

Si fa ghiotta, la faccenda, sullo Spaghettone allo scoglio, un Giovanni Fabbri generosamente e ammiccantemente addobbato di “robba de mare” scelta, e giocata con vero sentimento (la materia, va detto, qui dentro non fa un plissé praticamente su nessun piatto: tutto pesce “selvaggio”, prodotti d’orto di Grottaferrata, pasta e pane di casa e formaggi d’autore), appena ombrata però, come detto, dal peperoncino che c’è, e si fa sentire.

Doppio gioco di consistenze e “ambientazione” nel piatto (e anche di fumé) per l’ambo a venire: lo gnocco/raviolo di patate (buonissima texture in bocca, quasi pelle & crema, di bella avvolgenza) gioca le sue carte sull’apporto di stagionissima delle fave e il contrasto con la personalità (decisa, s’è detto) del guanciale, il tutto mediato dal cipollotto.

Sguazza nell’orto, tra pomodoro e melanzana, il raviolo/raviolo successivo, che però ha forse un pizzico in meno di sprint. Si chiude qui, intanto, anche il capitolo del ricco Greco 2007 Giallo d’Arles di Quintodecimo (leggi Luigi Moio, re dei makers campani) che ci ha accompagnati con forte e matura personalità (anche molto al colore, ma poi aromatico e ancora asciutto a puntino al palato) durante la ricca gimkana. Che ora passa ad altri cimenti. E cioè…

Una carne dal morso equilibrato che aggiunge piacevolezza al lungo itinerario.

Due dolci per finire: e, nel derby, il pierr’hermeggiante millefoglie di frutta secca al caramello salato (eccolo!) finisce con il battere un po’ a sorpresa…

Un babà agli agrumi con qualche piccola crepa strutturale nell’armatura, e un po’ meno contrastato al gusto di quanto il desiderio (che è una bestia, si sa) l’avrebbe voluto. Ma si sa, la pasticceria è a world apart

Conclusione: il passetto del generale Adriano ce piace. Il Raccordo è un fragile confine per la sua verve, e il Salotto una bella casa per tenerla vivace e al caldo. Il progetto piace. E ci si ripromette di trarne ancor vantaggio a breve. Qwerty è visibilmente sazio (otto assaggi!) e contento. E i 2 scatti con cui l’esperienza viene targata valgono in realtà anche… due e mezzo, e suscettibili di ulteriore decollo.

Non così, invece, il disco del Qwerty. Che, forse per un malinteso afflato post-pasoliniano, lo aveva parcheggiato sbrafantemente e coattamente in zona riservata CD. Morale: primo disco volante agganasciato nella storia della Roma contemporanea. E menomale che il carro attrezzi non sapeva proprio da che parte sollevarlo. Sennò, come niente, toccava andarlo a riprendere al deposito all’Ostiense…

Salotto Culinario. Via Tuscolana, 1199. Roma. Tel. +39 06.72633173

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