Miracolo a Milano/7 Viviana Varese e la stella di Alice
“Non mi piace proprio.”
“Come?”
“Questo ristorante, Acciuga. Non mi piace.”
“Ma se non siamo nemmeno arrivati in via Adige! E poi si chiama Alice, non Acciuga.”
“E allora? Fai mente locale: continuiamo ad andare fuori a mangiare, e mai una volta che demoliamo un locale, critichiamo non dico la cucina, ma almeno la disposizione delle posate o delle briciole sui tavoli, le divise del personale, gli spifferi…”
Sorridiamo, oggi siamo l’allegra comitiva che si è riunita dopo i vari passaggi a Identità Golose 2012. Il tema “Quote Rosa” era appena accennato, serpeggiava, ma sicuramente non stiamo andando da Alice perché ai fornelli c’è Viviana Varese. In quanto donna, intendiamoci. Piuttosto è la lontananza da questa tavola del pesce da qualche tempo e la relazione della mattinata che ha fatto rompere gli indugi. E più che il video, abbacinante di ricordi della Costiera Amalfitana, è stata a condurre la squadra con Totò sin qui la gigantesca ombrina destinata a transitare dal palco alla cucina. Travolti da un’ombrina profumata al limone, ma questo Totò non può saperlo mentre confabuliamo tra di noi.
Totò vorrebbe indagare sui motivi della critica gastronomica, sul rapporto tra giudici e giudicati ma noi tagliamo in maniera perentoria. Diciamo che siamo narratori, raccontiamo e cerchiamo di fornire una guida legata a quel momento storico, di un pranzo teoricamente ripetibile ma in realtà unicum. E per ognuno dei commensali.
Il locale è piacevole, colori caldi, senza eccessi. Un po’ costretto dallo sviluppo verticale che è stato risolto su due piani. Piace la finestra che ti permette di affacciare sulla cucina dove sta lavorando Viviana Varese, neostellata della città. In sala c’è la sua socia, Sandra Ciciriello, super esperta di prodotti ittici
Ed è a loro che ci siamo affidati, lasciando la scelta del menu da sottoporci.
“Ecco una nota di demerito”, dice Totò: “non possiamo mangiare quello che vogliamo!”
“Ma se l’abbiamo chiesto noi, di portarci quello che vogliono loro…”
Sopito il primo spunto critico di Totò, ci siamo dedicati all’antipasto: una serie di deliziosi finger food, molto delicati, a cui è seguito un Mini-hamburger di seppia con cime di rapa e burrata.“Questo devo dirlo: a me ’sta storia del fingo food, no, finger, mi ha stufato: un bell’hamburger con una maxi seppia mi sarebbe piaciuto, va’.”
Emanuele. Lasciando perdere i tentativi di critica controcorrente di Totò, il Mini-hamburger non era male: sapore e consistenza, accostamenti, funzionava tutto. Diciamo che predisponeva favorevolmente al proseguimento della cena.
Christian. Sapore di cime di rapa anche nel pane! Delicato.
Vincenzo. Amuse bouche che dichiarano subito l’orientamento del ristorante votato sicuramente alle specialità di mare. Mini panino da mangiare in quantità industriali, netto e saporito con una seppia tonica.
Zuppa di ceci al naturale con triglie, pomodorini confit, rosmarino, cipolla di Tropea e gamberetti
EB. Ingredienti della tradizione, mantenuti a un livello elementare, accostati con equilibrio e semplicità.
CS. Un totale equilibrio del piatto, tutto ben distinguibile.
VP. La triglia freschissima, spalleggiata da un gambero corposo, adagia il suo sapore di iodio sul gusto rotondo e pieno dei ceci ravvivati dalla nota appuntita del pomodoro confit. Ingredienti tradizionali, esecuzione contemporanea.
Baccalà cotto nella birra con insalata di rinforzo rivisitata, sottaceti “fatti in casa”, crema di cavolfiore, capperi e salsa all’acciuga
EB. Ottimo il gusto dei sottaceti “fatti in casa”, che si sposano benissimo col pesce (si sente la birra, ma non prepondera come temevo) e con gli altri elementi che compongono il piatto (a proposito, le varie portate sono impiattate benissimo, direi con un gusto del colore molto “meridionale”).
CS. Ora devo dire a mia madre che qualcuno ha superato la bontà della sua giardiniera! Quella Moretti gran crù si sposava alla grande col piatto.
VP. L’insalata di rinforzo è un classico della tradizione campana e Viviana ne cura l’esecuzione con attenzione. Giardiniera da manuale con acidità ben calibrata sul baccalà che non eccede in sapidità.
Superspaghettino con brodo di pesce affumicato, vongole, julienne di calamaro, zeste di limone e polvere di tarallo
EB. “Spaghetti in brodo? No, è una cucina troppo moderna per me, lo spaghetto non si fa in brodo, di pesce poi, e la polvere…” Vi risparmio la sequela di lamentazioni, che non ha impedito peraltro a Totò di mangiarsi gli spaghetti, il brodo, la polvere di tarallo e tutto quanto. Un piatto insolito, dai sapori originali, interessante: mi è piaciuto di più di quando l’ho gustato a Taste of Milano l’anno scorso (assieme alla pizza fritta Omaggio a Sofia aveva fatto avanzare Alice nella classifica dei ristoranti da visitare quanto prima…).
CS. Davvero evocativo. Un tuffo nel sud Italia.
VP. E’ il piatto che meglio identifica il percorso di tradizione e di creazione della chef. Per chi è meridionale, l’utilizzo del limone e del tarallo riportano a giardini e a profumi non più netti come una volta. Touché sull’amarcord ma anche sulla convinzione che il miglior utilizzo del superspaghettino al momento sia questo di Viviana e quello di Niko Romito con i porri. Già evitare di scuocerlo dal passavivande al tavolo è cosa di non poco conto.
Minestra maritata alla mia maniera
EB. “Ecco: si fanno delle discriminazioni, il tuo pezzo di carne nella minestra è più grande del mio!” La Minestra maritata alla mia maniera è una specie di poesia. Mi sembra di capire che da Alice si tenda a scomporre i piatti, la tradizione, ricomponendoli in modo più leggero, mettendone in evidenza lati cui prima non si era fatta attenzione – un po’ come Cézanne nelle sue nature morte metteva monetine e spessori sotto i piatti di arance o le brocche, sempre una natura morta era, ma vista con un occhio diverso. Anche l’insalata di rinforzo assieme al baccalà: da tradizione, era una grande insalata dai vari ingredienti (che veniva “rinforzata” riaggiungendo gli ingredienti man mano mangiati, o, secondo altri, usata per “rinforzare” il pranzo di magro della vigilia); qui, diventa un suggerimento, un’eco.
CS. Non avrei mai pensato di assaggiarne una versione così leggera, priva di grassi che possono appesantire. Il rischio sarebbe stato quello di “ammazzare” l’intero percorso.
VP. Totò ha poco da recriminare circa il lasciar fare alle signore del locale. In realtà due paletti li avevo messi: la minestra maritata e l’ombrina. Questa minestra è molto più contemporanea di quanto si possa credere. Per leggerezza, innanzitutto, ma anche per la scelta di virare la tradizione delle sette verdure a fare da corollario alla carne un’antecchia (un po’) troppo speziata.
Travolta da un insolito panino
EB. “Almeno questo me lo farai criticare, spero…” Cosa c’è da criticare? Un trancio di ombrina avvolto in foglie di limone e cotto in un panino fatto con acqua, sale, uova, farina di grano arso, tè nero affumicato, timo e cenere di potature di limone, servito con un’insalatina di finocchi, una patata cotta nella cenere e un panino… una serie di profumi che da soli bastavano – cottura perfetta, sapore anche.
CS. Io direi.. investiti da grandiosi profumi!
VP. La relazione della mattina prende forma sul tavolo. Arrivano i panetti, non commestibili, che come piccoli scrigni tengono insieme il sapore del mare, l’arruscato (il bruciato) e l’intenso sentore del limone. E’ come te la aspetti l’ombrina, morbida e forte con l’esatto punto di cedevolezza della carne. Il panino da mangiare è accanto insieme ai finocchi. Vuoi vedere che le cotture in crosta potrebbero ritornare in auge dal lontano passato di forni a legna d’uso comune?
Carciofo
EB. Anche il carciofo era una delizia (“Monotono” secondo Totò: un piatto solo di carciofi…): ci è stato presentato in tutte le consistenze possibili: bollito, alla griglia, fritto, come crema, e come gelato, con qualche fogliolina di liquirizia. “Almeno posso dire che il cucchiaino di gelato era proprio poco?” – in effetti, Totò ha ragione, il gelato non era abbastanza per farsi notare, si è perso quasi subito nella crema, forse si potrebbe equilibrare meglio; molto bella l’idea delle foglioline di liquirizia (è piaciuta anche a Totò, che non ama la liquirizia, se non sotto forma di rotelle…).
CS. Ho avuto come la sensazione che Viviana avrebbe potuto proporre infinite varianti sul carciofo. Perfetto.
VP. Un esercizio stilistico divertente con le diverse consistenze e temperature che si rincorrono, ma non è il piatto su cui punterei alla tavola di Alice.
Predessert. Sorbetto con insalata di agrumi e kiwi su finocchi.
Che Palla!
EB. Il dolce (“Una sceneggiata”, pensavo che dicesse Totò di fronte alla piccola cerimonia dell’apertura della “palla” con un martellone di legno – ma ormai, evidentemente conquistato, stava già meditando di intrufolarsi in cucina per dichiarare il suo amore incondizionato a tutto lo staff, e magari anche alle batterie di pentole) si chiama Che palla! ed è un tartufo con gelato al cioccolato amaro 84%, gelato alla vaniglia, zabaione e croccante di pan di spagna al cacao: la palla viene appunto presa a martellate ed aperta di fronte al commensale. Mi è piaciuto, e carina l’idea di fondo – ma forse troppo cioccolatoso. E mi sta ahimé venendo una piccola idiosincrasia per i petali di fiori che vengono sempre più spesso sparsi fra i piatti, buoni, carini, ma per carità non facciamoli diventare la nuova rucola…
CS. L’emozione finale. Grande sorriso.
VP. Un dolce gluten free appariscente e gustoso.
Detto questo, Viviana è una delle poche cuoche in circolazione; il suo percorso l’ha portata dalla natìa Salerno a una serie di esperienze (con Gualtiero Marchesi, Maurizio Santin, Moreno Cedroni, Leonardo Di Carlo) fino all’incontro con Sandra, sommelier ma anche grande conoscitrice del pesce, e nel 2007 ad aprire questo locale (stella Michelin in 4 anni: non male, le ragazze…) – Alice. Il ristorante delle meraviglie.
Alice. Via Adige 9, Milano. Tel. +39 02.5462930
(Christian Sarti, Emanuele Bonati, Vincenzo Pagano)