Gennaro Esposito, cosa intendi per artigianale quando parli di pasta?
Un po’ Maestro Yoda e un po’ Professor Silente, dipende se lo vedete più marziano o più romantico. È l’effetto che mi ha fatto Stefano Bonilli nel suo attacco diretto a Gennaro Esposito reo di aver dichiarato a Camilla Baresani (e facciamo professione di fede che non siano stati travisati o tagliati pensieri):
Gennaro ci avvisa che dobbiamo allarmarci quando su una confezione leggiamo “cose di fantasia riportate per dare romanticismo al prodotto. ‘Pasta artigianale’ è uno slogan stupido e ipocrita perché oggi più nessuno tocca la pasta con le mani durante la fabbricazione”. A questo punto, non vi resta che andare alla Torre del Saracino e chieder conto a Gennaro delle sue lezioni. Per metterlo alla prova non c’è niente di meglio che buttarsi sulla sua famosa (e squisita) minestra di pasta mista con crostacei e pesci di scoglio. Che lezione!
Bonilli spiega che non è così. Che esistono produttori di pasta che il prodotto lo toccano con mano, altro che. E per dimostrarlo va in due pastifici a Gragnano. Da Pasta Gentile ci informa che Adele e Anna producono 140 chili di fusilli fatti a mano al giorno. Dal Pastificio dei Campi spiega che le candele sono prodotti numerati. Risultato: i fusilli Gentile sono i migliori del pianeta e le candele del Pastificio dei Campi sono le migliori della galassia.
Confesso, e alzi la mano chi non lo ha fatto, che il mio pensiero è andato ai classici di Gennaro Esposito, primo tra tutti la minestra di pasta con crostacei e piccoli pesci (sì, lo so, mi direte che è bravo lo chef e non è buona la pasta). Qual è la pasta utilizzata in questa esecuzione? È corretto pensare che uno chef possa mettere in gioco la credibilità della sua cucina con un prodotto che non sia all’altezza delle sue aspettative e dei traguardi raggiunti?
Gennaro Esposito, non mi sembra che ci sia bisogno di un’interpretazione autentica anche se per sicurezza gli ho chiesto di spiegarmi la frase incriminata, ha semplicemente detto di fare attenzione alle etichette che possono prendersi gioco del consumatore con immagini bucoliche. Nel suo decalogo per scegliere la pasta non ha indicato questa o quella pasta. Ha parlato in maniera generica fornendo indicazioni raccolte da Camilla Baresani che sarebbero andate su un media generalista. L’intenzione, raggiunta, era quella di fornire le chiavi di base per l’acquisto di uno dei prodotti più gettonati nella GDO [“in Italia ne consumiamo circa 800 milioni di chili all’anno, con una spesa media per famiglia di 50/60 euro”). La guerra tra talebani e paesi democratici non c’entra nulla].
E’ singolare, quindi, che uno strumento di nicchia voglia parlare del particolare (anzi, particolarissimo) prendendo ad esempio una parte di questo articolo. Infatti voi pasta-strippati sicuramente:
Acquistate pasta essiccata con il phon e velocemente perché la ritenete migliore [Anzitutto controllate sull’etichetta del pacco che si tratti di pasta di semola di grano duro trafilata a bronzo, essiccata con lentezza e a bassa temperatura (35/40°)].
Non potete fare a meno del teflon [Il teflon, che dagli anni ’50 ha cominciato a soppiantare il bronzo, e l’alta temperatura rendono la pasta “morta”, la fanno scivolare lontano dal sugo].
Ve ne fregate dell’amido? Abbondante nell’acqua in modo che si faccia una bella papocchia [Inoltre, guardate il colore della pasta: quella essiccata a bassa temperatura ha un bel color semola, non è brunita dal calore. Tutto qui? No: la semola di qualità forma una rete di glutine che trattiene gli amidi, perciò è un brutto segno trovare l’acqua molto bianca e sporca di amido dopo la cottura.]
Amate la pasta che deve essere rigorosamente spaccata in cottura, altrimenti qual è il divertimento? [Pasta rigata o pasta liscia? “La sensualità di una pasta liscia è inimitabile”, dice Gennaro. Inoltre, con la pasta rigata è impossibile avere una cottura uniforme, per via della struttura.]
Queste sono le premesse per suonare il campanellino dell’etichetta. Diciamo pure che se critica a Gennaro Esposito si può muovere da un blog specializzato è che le affermazioni siano scontate.
Un particolare, però, mi sembra sia sfuggito in questa polemica. Cosa intendiamo per artigianale quando parliamo di pasta artigianale e di pasta fatta a mano.
Eh sì, perché la materia è regolata e abbiamo anche una circolare ministeriale [CIRCOLARE 10 novembre 2003, n.168. Etichettatura, presentazione e pubblicita’ dei prodotti alimentari. (GU n. 4 del 7-1-2004) ] che mette i puntini sulle i anche prima della querelle e proprio perché sul tema delle etichette fascinose e sognanti si consuma la guerra delle truffe e truffette.
Scopriamo così che le signore del pastificio non fanno “pasta artigianale” ma “pasta fatta a mano”. Cosa obiettivamente diversa e che necessita di essere toccata con mano.
Mentre saremo curiosi di capire in quale parte del procedimento che dà vita alle candele c’è l’intervento manuale delle “sfogline delle candele”. Che fanno, tagliano con il coltello all’uscita della trafila di bronzo?
Ecco cosa dice la lettera F) intitolata ai Prodotti artigianali.
Nella commercializzazione di taluni prodotti artigianali, quali le paste alimentari di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 187/2001, talvolta viene fatto con una certa enfasi riferimento alla «produzione artigianale», come se si trattasse di una garanzia di qualità organolettica, nutritiva o sanitaria superiore.
L’uso di diciture quali «lavorato a mano» e simili è ingannevole quando soltanto alcune fasi secondarie e collaterali della produzione sono effettuate a mano.
Nel comparto delle paste alimentari, ad esempio, le diciture «lavorato a mano» e simili potranno essere apposte unicamente qualora le fasi di impasto, trafilatura, taglio ed essiccazione della pasta siano state effettuate in tutto o per la maggior parte a mano e non anche quando la manualita’ abbia riguardato unicamente fasi secondarie come lo svuotamento dei sacchi di semola, il riempimento delle tramogge, il dosaggio degli ingredienti o il confezionamento.
“La mia voleva essere un’indicazione utile anche per la persona che di fretta fa la spesa. Un invito a soffermarsi su quello che si sta acquistando”, spiega Gennaro Esposito.
Mi sembra da sottolineare anche la necessità di verificare l’equazione artigianale=garanzia di qualità che la circolare mette in discussione. Il criterio quantitativo può essere indice di migliore o peggiore qualità non in termini astratti ma sul terreno della prova. La possibilità di poter controllare l’intero ciclo di lavorazione perché, ad esempio, si ha in casa il mulino per la produzione della farina può avvantaggiare un pastaio che calibra il blend del grano a seconda della programmazione della lavorazione. Non dovrà stoccare farina, nè essere soggetto ai tempi di un altro fornitore.
Insomma Gennaro, quale pasta consigli? “Quella buona che ti dice subito chi è con trasparenza e che meglio si adatta alla tua cucina. E che risponda a semplici regole di produzione: trafila di bronzo, essiccata lentamente. E se vuoi il mio parere, liscia”.
E il territorio? Mangiamo pasta che sta dietro l’angolo? “Non avrebbe senso, con la pasta come con altri prodotti. Se cerchi l’eccellenza, il territorio è un punto di partenza, non una gabbia”.
Meno male, a Roma Nord di pastifici nemmeno l’ombra…
P.S. Per chi volesse approfondire la circolare ministeriale per quel che riguarda paste artigianali e paste speciali, ecco l’estrapolazione dalla circolare.
Per gli insaziabili, ecco l’intera circolare