Roma. Acquasanta, nuovo ristorante di pesce a Testaccio
Il mare e la cucina di pesce diventano elementi quasi sacrali nel ristorante Acquasanta aperto da Alessandro Bernabei, Paolo Fiorenza e Giuseppe De Angelis a Roma. Un ristorante di pesce che in pochi mesi ha conquistato Testaccio.
Loro, anziati, il mare l’hanno vissuto e respirato da sempre, nei colori plumbei che sa assumere d’inverno, e che ritroviamo nella sala, quasi sacrale nella sobrietà delle linee e dei materiali.
Un ristorante di pesce con i tavoli fatti di assi di legno, come quelle che talvolta le onde restituiscono a riva, e delle passerelle dei pescherecci, e il ferro di cui sono fatti gli scafi e le catene d’ormeggio, con le decorazioni felciformi ad evocare le posidonie. Da Anzio arriva la materia prima, il pesce. Dalla Dean Pesca, cioè, l’ingrosso ittico di cui il De Angelis è proprietario, che si rifornisce quotidianamente alle aste delle prime ore del mattino.
In cucina ritroviamo Enrico Camponeschi (qui tra Fiorenza e Bernabei), che da Acquasanta arriva dopo quattro anni come sous chef all’Osteria di Monteverde, e che ha sposato con entusiasmo l’invito all’essenzialità del progetto. Piatti di pesce creativi ma non destrutturanti. Il pesce si deve riconoscere alla vista, all’olfatto e al gusto. La tecnica e l’abilità restano nascoste nelle cotture, negli accessori e negli abbinamenti.
Dove serve, naturalmente. Nell’amuse bouche di crudo di gambero rosso su crema di datterino giallo sono racchiuse nell’aneto a guarnire, per esempio. Quella nota acuta che si erge sulle dolcezze minerali del crostaceo e del pomodoro, che fa salivare e prepara per l’antipasto vero e proprio.
Bello l’abbinamento con la bollicina marchigiana Spavengol, di Ca’ Sciampagne, un naturale di Chardonnay con una piccola percentuale di Sauvignon blanc a fermentazione spontanea senza altro aggiunto, quasi amabile nelle sue note morbidissime di frutta tropicale e zenzero.
La carta dei vini è curata da Alessandro Bernabei, curioso di progetti enoici, cacciatore di piccole realtà, senza tralasciare le grandi. Valentini, Emidio Pepe, Terlano, Le Masciare, Garofoli solo per dirne alcune, olre ai classici come Moet&Chandon e Roederer.
Mi è piaciuto anche con lo sfilettato di marmora, funghi porcini in carpaccio, crumble di olive, gel al prezzemolo e condito con olio e sale (22 €). Tanti sapori e altrettante consistenze per un piatto dalle molte angolature, esaltate dalle carni della marmora, delicate ma sode sotto i denti.
L’antipasto di tonno ai 3 pomodori è intensissimo. Nell’interpretazione di Acquasanta è una tartare di tonno rosso, accompagnato da un sorbetto di pomodoro (zuccherato), datterino giallo confit e polvere di pomodoro che si inseguono senza sopraffarsi mai. C’è il dolce, c’è l’acido, c’è il minerale, il salino e il vegetale, in una melodia ben concertata.
Cambiamo vino, e passiamo ad un’azienda di Latina, Santa Maria: Strada del Passo è un bellone in purezza elevato in cemento dalle note fruttate, minerali e lievemente smaltate. Il tonno vince, meglio con l’antipasto cotto.
Un calamaro cioè appena scottato e servito su un letto di lattuga spadellata e guarnito con yogurt (sì, puro e semplice) e terra di ‘nduja (14 €). Piatto aggraziato di grande soddisfazione giocato sulla morbidezza del calamaro e dello yogurt, che pure smussa la dolcezza con la sua punta acida. La lattuga resta croccante e dona umidità, su cui la nota grassa e piccante della ‘nduja mette il punto-e-accapo.
Strizzano l’occhio alla cucina giapponese de noantri i noodles di Testaccio: tagliolini all’uovo (dal pastificio Pica, di via degli Scipioni) in brodo di rana pescatrice e soia con funghi shitake e cannolicchi, crudo di mazzancolle e sesamo nero (16 €). Molto gustoso il brodo anche se shitake e soia tendono a saturare il palato, ed è un peccato che si perda il pesce; ottima la cottura dei tagliolini e piacevolissimo il contrasto con il crudo, fresco e dolce.
Passiamo all’ottimo Frappato DonnaFugata: il Bell’Assai, di nome e di fatto. Pulito, trasparente, dal frutto fresco croccante e acidulo, trama tannica vellutata e beva leggiadra. Con i noodles lo scambio era mutuo e alla pari.
Se l’è cavata anche con la delicata ricciola, scottata e finita in padella a fuoco spento, su crema di topinambur, chips di daikon, castagne sbollentate e composta di more fatta in casa dallo chef (20 €).
Un pelo troppo cotta la ricciola, e forse troppo orientato alla mineralità il piatto nel complesso per poter apprezzare appieno le castagne, che si perdevano nel gioco dei sapori. Molto interessante invece l’abbinamento con la composta di more.
Di Camponeschi anche i dessert (la brigata non è ancora completa e il pasticciere è in fase di selezione). Due, di cui il primo ispirato da una passione recente dello chef, la namelaka, la crema giapponese soffice soffice a base di cioccolato bianco, qui a spezzare una sfoglia fresca, e profumata con la confettura di more, tutto di produzione Acquasanta. Molto delicato, scioglievole e non troppo dolce.
L’altro, in pieno stile autunnale, a base di zucca (7 €). Un semifreddo all’amaretto, cremoso e consistente, su una camilla leggera di zucca e completato da una salsa di zucca non dolce. Gusti decisi, esplosivi e bella masticabilità: ottima la consistenza del semifreddo a base pate a bombe, morbido ma persistente al palato.
Acquasanta è una bella esperienza, anche grazie alla scelta dei proprietari di non sfruttare all’inverosimile lo spazio a disposizione. Sono una quarantina in tutto i coperti, ben distanziati e distribuiti su tavoli di varie forme e di varie altezze, a creare un bel movimento.
Anche sotto il profilo dei prezzi è un’esperienza fattibile: a cena si spendono mediamente 40 €, 45 se si opta per il menu degustazione (deciso giorno per giorno), e come primo approccio vale decisamente la pena. A pranzo invece grazie alla formula Quick Lunch, per un antipasto+primo oppure antipasto+secondo bastano soli 20 € (tutti i giorni tranne il lunedì).
Acquasanta. Via Aldo Manuzio 28. Roma. Tel. +390645550020