Sono Pazzi Questi Romani. 9 piatti dall’Antica Roma
Ab ovo usque ad mala. Non so se vi viene in mente una striscia di Asterix e Obelix ma perché non sbagliate e continuiate a leggere questo post il disclaimer è immediato.
L’archeologia in cucina può essere molto divertente e quella dell’Antica Roma tra citazioni di Apicio, Lucullo e Catone diventa perfetta soprattutto se ai fornelli ci sono tre campioni della romanità contemporanea: Giancarlo Casa, pizzaiolo e padrone di casa della Gatta Mangiona; Arcangelo Dandini, oste che vive e cucina mozzichi di memoria (titolo di uno dei suoi libri); Gianfranco Pascucci, chef stellato al Porticciolo di Fiumicino che molti credono reincarnazione di Posidone per la sua abilità con il pesce.
Un titolo azzeccato per una serata organizzata dalla spumeggiante archeologa Laura Pinelli, che a forza di scoperchiare tombe e chiedersi perché i denti in antichità fossero così mal ridotti è approdata alla tavola di Trimalcione, e raccontata dal fine dicitore Gino Manfredi.
In mezzo spiegazioni, letture, ricordi di liceo, tecniche, ricette e ingredienti. Voto finale, ve lo anticipiamo, 10. E la garanzia che quello che accade in questa pizzeria di Monteverde ha sempre la giusta ispirazione.
Ab ovo, dunque, e la partenza non poteva che essere con le ova e il cacio delle polpette di pane preparate dall’oste tuscolano Arcangelo Dandini vieppiù noto ai streetfooddaroli capitolini per i suoi supplizi. Pane semintegrale e mulsum per quella tendenza al dolce che sarà la gradevole nota della cena insieme a un garum un tantino meno allergenico di quello che i romani mettevano praticamente dappertutto.
Giancarlo Casa ha seguito quasi alla lettera l’antica ricetta del Libum di Catone (il quasi è valido sempre perché nell’era dei papiri e delle tavolette usavano mettere ingredienti ma non dosi) per una focaccia dedicata agli dei.
Catone nel suo libro: “De Agricoltura” scrive: “Farai così il libum. Sciogli bene in un mortaio due libbre di formaggio. Quando lo avrai reso del tutto liscio impasta bene…”.
La sala cattabia viene proposta da Giancarlo Casa a chiusura della gustatio, il primo tempo della cena che sta ai nostri tempi come un antipasto, in guisa di polpette impanate e fritte.
Anche sui vini il percorso è quello della memoria romana. Abbiamo aperto con uno splendido Fiano di Ciro Picariello e via via passiamo al Falerno bianco e rosso di Masseria Felicia per arrivare al meraviglioso Cirò ‘A Vita di Francesco De Franco e chiudere con Aleatico e Grechetto di Andrea Occhipinti. Selezione che ribadisce la capacità di Giancarlo Casa di pensare al vino in maniera paritetica rispetto alla pizza.
La prima mensa, le portate principali di carne e di pesce, sono aperte dal “magister piscis” Gianfranco Pascucci. Che si inventa una murena allessata con salsa legata con l’amido, gel di garum, erbe e spezie. Una pallina rossa di peperoni con la pelle croccante della murena per giocare a quella trasfigurazione dei piatti che tanto piaceva ai ricchi dell’epoca.
Ch’io non abbia più a crescere, di soldi, non di grasso, se tutta questa roba il mio cuoco non l’ha fatta col maiale. Un uomo più prezioso non è possibile trovarlo. Basta dirglielo: di una vulva ti fa un pesce, di un pezzo di lardo un colombo, di un prosciutto una tortora, di uno zampone una gallina. E per questo con la mia inventiva gli ho messo un gran bel nome, ché si chiama Dedalo. E, poiché ha tanta disposizione, gli ho portato in dono da Roma dei coltelli di ferro norico
Inversione di piatti e Arcangelo Dandini porta in tavola un maiale speziato, cipollata al garum e polvere di mandorle. Un filino di troppo a prendere calore al forno a legna e la carne si secca un po’. Ma riassaggio un pezzo dalla teglia meglio controllata e la cottura è perfetta.
Proprio un bel fannullone – gli sussurro – ha da essere questo schiavo. Chi andava a dimenticarsi di sventrare un maiale? No, per dio, non gli perdonerei, avesse avuto l’amnesia con un pesce ». Ma non Trimalcione, che, spianato il volto a un sorriso, «Avanti, – disse, – poiché hai la memoria così corta, sventralo davanti a noi».
Ricuperata la tunica, il cuoco afferra un coltello e con mano guardinga incide qua e là il ventre del maiale, Sul momento dai tagli che via via si allargano sotto la spinta del ripieno traboccano salsicciotti e ventresche.
Ed ecco il piatto che mi aveva fatto esclamare nel leggere il menu della serata annunciata da Giancarlo Casa un paio di settimane prima: murena fritta e arrosto con foie gras, salsa alle susine damascate e melograno. Un’interpretazione veramente azzeccata e goduriosa. Quanti di voi mangiano murena o frequentano un ristorante che la prepara? Mettete subito i nomi nei commenti.
E già rubava il mestiere anche ai filosofi, quando incominciarono a girare in un’urna dei biglietti da lotteria, con un valletto preposto a questo ufficio che dava lettura degli apoforeti. «Argento mortale»: portarono una mortadella con sopra un acetabolo. «Capezzale»: portarono un pezzo di capicollo «Insipienza e contumelia»: fu offerto del biscotto insipido e un corpo contundente con una mela. «Nespole e persica»: si ebbe uno staffile e una daga persiana. «Passeri e ammazzamosche»: uva passa e miele attico.
« Per la tavola e per il foro »: si ebbe un tortino e una tavoletta. «Canale e pedale»: portarono una lepre e una suola. «Murena e lettera»: si ebbe un murice con una rana e una cappa. Ridemmo a lungo. Ce n’erano mille di questo tipo, ma ormai mi sono scappati di mente.
Ci avviamo alla chiusura con una degustazione di formaggi d’epoca del caseificio De Iuliis totalmente ispirati all’Antica Roma, uno strudel di pizza ripieno di patina piris preparato da Giancarlo Casa, una mela annurca caramellata al mosto con conciato romano di Manuel Lombardi preparata da Laura Pinelli che sdogana definitivamente la figura dell’archeologa in cucina.
Vi saluto e statemi bene con queste tavole di trimalciona memoria. Sono proprio Pazzi Questi Romani!
P.S. Ma il 21 aprile un “Ab Urbe condìta” nun se pò fà?