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Ricette
8 Marzo 2010 Aggiornato il 31 Marzo 2019 alle ore 10:39

Parisi: la migliore carbonara la fai con maggiorana e parmigiano di pecorino

Non so quanti siano a conoscenza della mia passione smodata per la pasta e in particolar modo per la carbonara e per il cacio e pepe. Ognuno ha il suo
Parisi: la migliore carbonara la fai con maggiorana e parmigiano di pecorino

Non so quanti siano a conoscenza della mia passione smodata per la pasta e in particolar modo per la carbonara e per il cacio e pepe. Ognuno ha il suo benchmark nel piatto perfetto, quello che ti fa sentire protagonista di un mercoledì da leoni anche se surfi con la panza sotto al tavolo e più che l’onda da cavalcare aspetti che ti si ripresenti quel gusto, quel piacere supremo che ti ha sconvolto le papille. Io con la carbonara ho un rapporto atavico ma non in quanto tale, bensì con le sue materie prime e in particolare la pasta e l’uovo. La pasta perché da sempre, a Napoli, è risaputo che la pasta lunga è più pregiata, più difficile da realizzare. Quindi per gustare una pasta corta veramente buona devi trovare un grande pastificio che la produca. E poi c’è l’uovo, l’oggetto primordiale, il brodo di coltura delle passioni gastronomiche. Mio nonno aveva una salumeria al Vomero, ma aveva soprattutto un piccolo allevamento ai Camaldoli. E io ricordo quel traffico di uova fresche, freschissime nei “cartoni” e la lampadina poggiata sul tavolo per guardare in controluce l’uovo. Non so per vedere esattamente cosa. E la mano che mi tendeva l’uovo pulito con il forellino per tirarlo giù. O sul cucchiaio con una goccia di limone, un dolcetto goloso perché l’uovo va mangiato con l’albume. E non so in base a cosa mio nonno scegliesse l’uovo da darmi, ma era sempre buonissimo. E io pensavo che ci fossero le galline per le uova dei bambini. Che erano più galline delle altre. E le loro uova erano più uova delle altre.

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Pensate non sia vero? Allora non avete mai assaggiato l’uovo che è più uovo di tutte le altre uova che voi abbiate mai potuto mangiare. Perché c’è un signore che è il re delle uova, anzi delle galline che lo ripagano delle sue attenzioni deponendo uova strepitose. Io l’ho conosciuto in velocità a Londra quando con le sue uova Massimo Bottura preparò l’uovo cotto a bassa temperatura con guanciale e fonduta di Bitto. Mi ripromettevo di conoscerlo meglio Paolo Parisi. E sono andato da lui per chiedergli come mai le sue uova sono così famose. E sono ritornato indietro nel tempo, a quando ero bambino e gustavo quell’uovo sulle colline e sapevo che dentro quel pollaio c’era la gallina più gallina delle altre che deponeva l’uovo più uovo degli altri. Perché Paolo, nemmeno mi avesse letto nel pensiero, mi dice “preparo la carbonara” dopo che sono entrato nel suo regno, segnato da un cancello con le scope di saggina e recintato perché non vadano via i suoi animali che vivono allo stato semi brado (ma solo perché non possono decidere di allontanarsi oltre quelle staccionate). Paolo non ha solo le galline, tra l’altro di razza Livornese, le meno adatte a fare grandi rese. Ha anche le capre che nutrono le galline. E poi i bovini che pascolano fin dentro il bosco e a volte mangiano i cereali con le uova famose. E i maiali di Cinta Senese che fanno concorrenza agli spagnoli Pata Negra. Un allevamento integrato, lo chiamerei.

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L’uovo più famoso del mondo gastrofanatico ha la barba e gli occhialoni neri. E tanti amici che vanno pazzi per le sue uova. Io e Francesco ne abbiamo conosciuto uno, Douglas Gayeton, che era lì per fotografare il mondo di Paolo. Fantastico come può esserlo quello di Alice e popolato di personaggi che qui alle Macchie vicino a Lari (Pisa) sono i componenti della sua famiglia che collaborano al successo di questa impresa: Manuela con Rocco, Filippo, Riccardo, Alice, Priscilla e il piccolo Brando che appaiono sulle scatole in una bella foto. Pioveva la domenica in questo tratto di Toscana tra Livorno e Pisa in un entroterra meno conosciuto di altre zone della Regione ma non certo meno interessante. Paolo Parisi è approdato qui nel 1981 e ha costruito con pazienza il suo regno del gusto e della qualità.

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“Douglas sta arrivando”, mi avverte Paolo facendomi entrare nella cucina. Americano che ha una tale attrazione per questa Toscana da dedicarci un libro “SLOW: Life in a Tuscan Town” in cui ha costruito una tecnica di rappresentazione fotografica manuale che mette insieme il digitale, il graffito e la tradizione di luoghi per lui, dalla California, lontanissimi.

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Giro le pagine e guardo i quadratini che compongono una panoramica ottenuta con un lavoro certosino selezionando 3000 foto. Douglas e Francesco, dopo un momento di comprensibile disagio per entrambi, inizieranno a danzare intorno al tavolo del laboratorio gustativo.

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Paolo mi fa: “Conosci Casa Madaio?” Cilento, praticamente seconda patria, certo. “Ma questo non lo hai assaggiato”. E Paolo lavora intorno a una forma e mi raccomanda, sempre intera si compra la forma. E’ un parmigiano di pecora dal gusto incredibile affinato a sud di Salerno e arrivato qui in Toscana per essere curato ancora e dare ora a noi il piacere di una pastosità sconosciuta. Pensavo di conoscere la produzione di Antonio Madaio da Castelcivita, ma dovevo incontrare Paolo Parisi per arrivare a queste vette supreme. Rocco si prende cura del parmigiano di pecora e lo grattugia con movimento circolare. Noi assaggiamo e beviamo un prosecco naturale. Sapori che esplodono. Chi resisterà con ben due fotografi che si muovono felpati e chiedono un attimo di pazienza? Le uova miracolose sono là, ma è la volta del guanciale. E non è un guanciale qualsiasi. Paolo crea un altro tesoro in grado di sconfiggere l’avversario spagnolo e di costringerlo alle corde con la sua cinta senese che ha iniziato a selezionare nel 1989. Una razza che era stata abbandonata, non si direbbe oggi, a favore di altri suini più resistenti all’allevamento intensivo. Quelli di Paolo vagano e mangiano pinoli e ghiande. Il segreto è aiutare la natura ma con discrezione e poi ci vuole l’intervento dell’uomo.

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Taglia fettine di guanciale e le avvicina al pane di Eugenio Pol, un’altra storia ricca di grandezze. E’ come mangiare la seta e il profumo messi insieme. Resto attonito. Ma come fai a tirare fuori questa untuosa sontuosità? Accarezza le bolle dilatate della cotica del collo che racchiude questo guanciale. Ha i suoi anni il maiale e la rete che imprigiona le carni si avvicina e si allontana dal fuoco del braciere che consuma trucioli di faggio.

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Occorrono 6 ore di affumicatura e vapori di torba per dare vita a questa sensazione di balsamico, di iodato e di erbaceo con un risultato da paura. “Lo preparo da Levoni vicino Mantova che è una realtà industriale con 200 persone ma ha ancora le grotte per l’affumicatura”. Per me potrebbe farlo anche su un Ufo nello spazio sarebbe lo stesso perchè devi avere una grande voglia e passione per creare un prodotto come questo. E taccio del salame che Paolo mi allunga conscio che i tempi del set potrebbero farmi andare a zampe all’aria. La julienne di guanciale è pronta. Ed ora è la volta del limone, della buccia che va grattata. Limone??? E che c’entra nella Carbonara? Digito l’indirizzo del sito per ricercare la ricetta arcangiolesca. Possibile che il vino biodinamico mi abbia atterrato così malamente? Paolo sorride. “Ci vuole un limone vero, come quello del mio albero, tagliato a capello”. Qui ha gelato un po’ tutto ma il limone profuma.

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Va bene, Carbonara creativa, ma le uova che facciamo le mettiamo. “Certo nella Carbonara a freddo sono la parte più importante”. Ecco l’uovo, bello perfetto che rotola sul suo piano inclinato per uscire pulito dal pollaio. Paolo scusa, ma fredda nel senso che ce la mangiamo fredda? Macchè, nemmeno risponde e prende la pasta, i tagliolini sottili all’uovo di Caponi di Pontedera che saranno pronti in due minuti.

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La scodellona di ceramica accoglie 1 uovo per commensale, parmigiano pecorino, maggiorana, limone, il mezzo aglio spremuto. La danza si fa frenetica, i tagliolini sono nell’acqua. Le uova vanno battute poco, avverte Paolo, e il composto carbonaro è pronto.

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Paolo ci lancia dentro la pasta e la gira veloce per evitare che il calore dei tagliolini faccia diventare frittata l’uovo. “Meglio tenere da parte un po’ d’acqua calda nel caso la pasta si impacchi”. Il forchettone gira una, due volte. Il profumo si spande veloce. Una girata di pepe.

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Affondo con decisione la forchetta rapito dal colore intenso dell’uovo più uovo. Un connubio perfetto di materie prime si esalta in questo amalgama perfetto. Ritorno indietro nel tempo spinto veloce dal tuorlo che ha bevuto latte di capra. Il guanciale è lì a tenermi per mano mentre il pecorino crea bagliori nel canale della memoria che si allunga davanti a me. Non c’è paragone, anche se ho ascoltato qualcuno dire di non esagerare, che vuoi che sia un semplice uovo…

Riprendo il mio tempo. Paolo, stavo pensando, mi sa che oggi sono andato oltre il fresco e ho trovato il più fresco.

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Foto: Francesco Arena

Vincenzo Pagano
Fulminato sulla strada dei ristoranti, delle pizze, dei gelati, degli hamburger, apre Scatti di Gusto e da allora non ha mai smesso di curiosare tra cucine, forni e tavole.
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