Moreno Cedroni, il dopo Clandestino e il cibo da fiera
La giusta maniera di fare, lo stile, non è un concetto vano. È semplicemente il modo di fare ciò che deve essere fatto. Che poi il modo giusto, a cosa compiuta, risulti anche bello, è un fatto accidentale. (Ernest Hemingway)
Nel freddo al Rosalpina di San Cassiano, durante la chef cup, davanti ad un piatto di Moreno, ho avuta netta la sensazione di un periodo di grande spolvero per il cuoco marchigiano. Il piatto era una ricciola con lemon grass, porro e viola del pensiero e amaranto fritto, un piatto selvaggio che urlava di mare e giornate d’estate. Rinfrescato da una dinamica incredibile e profumi vivi e taglienti. C’è poco da dire e da fare, Moreno è un pezzo importante di storia della cucina italiana, malgrado l’età ancora giovane, ha segnato la cucina dell’Adriatico (e non solo) in maniera indelebile, portando freschezza e divertimento sul tavolo di gioco della ristorazione.
Le nostre strade si sono nuovamente incrociate ad IG, prima in casa Longino in una serata divertente e un poco pazza, in cui è stato il primo a mettersi in gioco, in un happening di cucina e vita, e poi nello stand della Scholtes, dove come ogni anno si cimenta ai fornelli.Una situazione al limite dell’impossibile: un piccolo stand, un banco cucina tecnologico, piatti e bicchieri di plastica, questi gli strumenti con cui Moreno ha suonato una partitura da maestro. L’appuntamento era ad altissimo rischio, per chiunque. Scivoloso ed impervio, ma lui è riuscito a farne una forza.
Si perché al di là di confusioni contemporanee, di nomi che giocano con i media e il rapporto qualità prezzo, in nostro marchigiano è il vero ed unico cuoco pop dello stivale. Nuota come un pesce nell’acqua nel mondo della contaminazione, del meticciato, tra cucina, moda e design. Riuscendo a tramutare in opportunità quelle che per chiunque altro sarebbero limiti insuperabili. I suoi famigerati occhi azzurri brillano di divertimento, in queste situazioni impossibili e a me basta guardarli per capire in un lampo che tutto andrà bene…
Eccolo allora, con aria divertita e disincantata, servirci in pochi minuti e in piedi un menu completo di grande piacere e impatto. Il gioco era quello di ispirarsi ad Hemingway, alla sua voglia di vivere e di conoscere. Quindi suggestioni dal mondo e grande curiosità nei piatti e negli approcci. Tutto perfetto, registrato nel dettaglio e di grande stile.
Mojito di sakè e pasta di noccioline. Si parla di Hemingway e non poteva mancare il Mojito, alleggerito e corretto in chiave moderna. Un gioco sull’idea di aperitivo classico, quasi mainstream, ma riletto e attualizzato. Divertente, sembra di essere a la Bodeguita del medio.
Ostrica con perle di the affumicato e neve. Elegante e delizioso, come le perle lattiginose dal profumo intenso. Idea e pensiero, in una portata magistrale e di grande piacere. Ci sembra di sentire la voce di Edith Piaf in lontananza. Rive Gauche.
Pescespada marinato in soia e miele, salsa di friarelli. Un piatto spiazzante, giocato tra dolcezza, vegetale e forza. Bellissima la consistenza del pesce cotto non cotto. Golosa la sferzata della frutta tropicale sull’amaro dei friarelli. Lo sciabordio del Pilar sotto i piedi.
Baccalà all’infuso di rosa. Spiazzante il profumo intenso e fiorito, il baccalà è magistrale per consistenza e cottura. Un morso succulento e deciso che sa di Spagna e corse dei tori nella Fiera di San Firmino.
Trota alla griglia. La semplicita del pesce di fiume, planciato e intenso. Goloso e croccante nella cottura semplice ed efficace. Elegante come la frustata della pesca alla mosca nei fiumi d’Irlanda.
Gelato alla viola con Lemongrass. La degna conclusione di un viaggio nel mondo sul filo dei libri di Hemingway. Fresco, profumato e corroborante.
(Alessandro Bocchetti & Vincenzo Pagano)
Video: Enrico Pietro Chelli