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Ristoranti
22 Novembre 2011 Aggiornato il 15 Giugno 2020 alle ore 22:13

Polvere di stelle e di forchette. Luccica ma non è tutto oro

Moreno Cedroni, chef della Madonnina del Pescatore, a microfoni aperti con la food power Franca Formenti sul filo del rapporto tra gourmet e resto del
Polvere di stelle e di forchette. Luccica ma non è tutto oro

Moreno Cedroni, chef della Madonnina del Pescatore, a microfoni aperti con la food power Franca Formenti sul filo del rapporto tra gourmet e resto del mondo.

Una volta c’erano gli stilisti che erano le vere star e oggi siete voi chef le nuove icone del terzo millennio ma ho notato che a differenza degli stilisti che sono riusciti ad essere padroni di se stessi e costruendo degli imperi, voi invece o per sfortuna, o il caso o il destino ha voluto che abbiate avuto il boom della vostra fama in un momento in cui la fanno da padrone le multinazionali. Quindi in un certo senso pur godendo di grande visibilità siete ancora sul libro paga delle multinazionali.

Siamo degli sfigati. Nessuno ci sostiene, nessuno ci difende…

Siete degli sfigati? No, non siete degli sfigati! Siete dei creativi ancora sul libro paga delle multinazionali. Rappresentate secondo me quello che è la società oggi e cioè che nessuno è più padrone del proprio talento ma è schiavizzato da un sistema che lo fagocita, una sorta di schiavismo dorato o di colonialismo della creatività. Pensa, Prada è entrato in borsa e alcuni grandi chef devono chiudere il ristorante perché non ce la fanno. Però hanno le stelle Michelin.

Il concetto è che all’estero un ristorante è fatto per essere riempito e se non si riempie non esiste. A qualsiasi livello sia.
Qui in Italia il formalismo e il provincialismo seguiti da una certa stampa, di settore e generalista, ci ha un pochino chiuso in un angolo. Della serie: se prendi i tavoli da ricambiare non lo puoi fare. O almeno, il locale che vuole crescere e migliorarsi con stelle e altri simboli di buona classifica non può fare alcune cose, ad esempio ricambiare i tavoli.

Scusa la mia ignoranza, cosa significa cambiare i tavoli?

Tu hai 10 tavoli con 40 posti. Quando un tavolo finisce il servizio e quindi i commensali se ne vanno, puoi cambiarlo e accettare altri clienti che si siedono a quel tavolo.

Ah, ok! Come succede all’estero?

Sì. In Italia non si può fare perché sembra che sia un comportamento poco elegante.
Già immagino: “Oh Come TU FAI I RICAMBI?”
Sembra che sia un disonore!
L’orario 20- 20.30- 21.00.
Come tu mi dici a che ora devo arrivare al ristorante ?
Eh sì, ti rispondo io. Perché anche quando vai a giocare a canasta o a fare le unghie ti danno un orario, quindi io ti do un orario perché la mia cucina lavora meglio e posso offrirti un servizio migliore.
Se arrivate in 20/30 persone tutte insieme anche Ferran Adrià andrebbe in tilt.
Tutte cose che all’estero funzionano. Ristoranti con 2 o 3 stelle che ti chiedono se vuoi arrivare alle 19.30 o alle 21.30. In Italia, no, non si può fare.
In Italia siamo a livelli che se riempi un locale sembra quasi ci sia una sorta di invidia. C’è questo sentimento “contro”. Se sei bravo, per molti significa che sei troppo fortunato. Quindi noi non siamo contenti. Invece in tutto il mondo il ristorante è pensato per essere pieno, per lavorare, per accogliere gente. Ecco perchè penso che ci abbiano quasi ghettizzato.
È questo il motivo per cui noi, con i nostri ristoranti, in questo momento non riusciamo a produrre reddito.

Come quando ai tempi nacque la Camera della moda piuttosto che altre associazioni che sono state secondo me molto lungimiranti nell’organizzare il lavoro degli stilisti, forse dovrebbe esserci una persona o una équipe di persone con esperienze di marketing e di business che vi aiutino ad organizzare aspetti collaterali. In tal modo voi riuscireste a usare e ottimizzare al meglio il vostro talento.
Se tu pensi a Identità Golose, che è l’evento più chic per quanto riguarda il food a Milano, ti accorgi che rimane di nicchia. Mentre dovrebbe succedere che la città si impesti in modo virale di eventi a catena come accade con il design e la moda, appunto. Voi chef non è che siete degli sfigati ma troppo recintati per una nicchia che poi non riesce a darvi ciò che vi meritereste. Questo forse sì.

Hai detto una cosa giusta!
Quello che ci manca è che, secondo me, bisognerebbe andare un pochino più in alto. Ci manca il consenso delle istituzioni.
Il primo operaio di Francia è quello che nel colletto della giacca ha i colori della bandiera francese. C’è attenzione. Io istituzione dico a te che sei il più bravo nel tuo settore.
Da noi nessuno ti dice questo perché se ti dicono che sei il più bravo un altro ti urla: “Ma a te chi te l’ha detto che sei il più bravo?”

Si, però molte persone che lavorano nella moda hanno sempre sostenuto che il fashion system è riuscito a farcela 30 anni fa non perché siano stati aiutati dalle istituzioni ma perché hanno lavorato sodo sempre e tutti. Quindi ciò che credo è che vi manchi quella pervasività, oggi virale, che ancora non è stata davvero diffusa.

Però vuoi mettere se le istituzioni ci sostenessero come in Francia? In Francia gli chef francesi sono sostenuti e promossi in tutto il mondo dalle istituzioni. Qui da noi accade che se si muove un’istituzione locale, provincia o regione che sia, sembra doveroso portare i meno acclamati e non i più bravi.

Sì, ma dovrebbe esserci qualcuno che fa da ponte tra voi e le istituzioni che vada a bussare e vi proponga altrimenti non succede niente.

Foto e intervista: Franca Formenti

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