Il World’s 50Best, la guida Michelin e la banda dello scrocco alla francese
La guida Michelin è morta, W la nuova guida. Che poi sarebbe la S. Pellegrino World’s 50 Best Restaurants redatta da 837 giurati che stabiliscono una classifica più moderna che varca i confini nazionali in cui era stata ingabbiata la ristorazione secondo il dettame transalpino. E a pagare le spese sono proprio i francesi, quelli dei ristoranti importanti che tutti conoscono (Ducasse, volete trovare una persona che non sappia chi è?) per lasciare spazio a Inaki Aizpitarte del gastrobistrot Chateaubriand. Re di questa classifica è Renè Redzepi del Noma di Copenaghen che il Papero Giallo conferma in vetta anche quest’anno, mentre Adrià non sarà in classifica come ha chiesto perché a luglio chiude e i fortunati di questo scorcio di anno saranno probabilmente gli ultimi testimoni della tavola che ha cambiato per sempre il modo di intendere la ristorazione. Un modo che forse fa già parte del passato se Chateaubriand sale nella classifica attestandosi nella top ten e di fatto rilanciando una cucina personale come ci ha spiegato lo stesso Inaki.
Per chi ha ancora a cuore la carta questo suonare il de profundis delle guide segna la definitiva messa in pensione di un mondo polveroso animato da critici che cercano spazio su altri mezzi e in altri modi inseguendo giovani blogger che surfano sulle parole chiavi. Succede in Italia, sucecde in Francia. Ce ne dà conto Andrea Petrini in un lungo articolo in cui analizza questo cambiamento dal punto di vista della Francia. Lo spunto è la performance di divinazione per scoprire anzitempo la classifica del 50 Best e comunicarla ai microfoni del “grande nemico” Striscia la Notizia. E’ l’antefatto per dire che in un paio di edizioni la classifica della San Pellegrino ha conquistato le prime pagine dei giornali e ha ammazzato la grandeur francese. Un colpo alla Michelin e al suo mondo lussuoso? Probabile e la difesa dei grandi chef che nemmeno hanno prenotato un posto sul TGV per Londra (le spese sono a carico dei partecipanti) non sembra un granché.
Ecco, la voglia di partecipare e di esserci sembra il motore di tutta l’operazione di classificazione che pure ha dovuto scontare qualche diffidenza. Non è trascorso tanto tempo da quando si ventilava che i piani alti erano occupati da ristoranti pro San Pellegrino e che la multinazionale dell’acqua spingeva per i suoi testimonial graditi. Solita questione: se c’è di mezzo l’invito in stile congresso medico ai Caraibi si diventa tutti più buoni. Vizio italico? E sembrerebbe di no. Perché dopo la violenta accusa di Visintin all’indirizzo della banda dello scrocco, Petrini parla del “Pique-Assiette”, il neologismo coniato da Pierre Gagnaire, ruba-piatto ossia dello scrocco alla francese perpetrato da un popolo di commentatori sensibile al fascino degli inviti con servizio di voiturier, parcheggiatore. In pratica l’esaltazione della velina lanciata da inesorabili uffici stampa e PR che hanno il loro daffare anche per salire nelle pagine di Google. Risultato: si parla sempre degli stessi chef e ristoranti che hanno la potenza di fuoco sufficiente a entrare nel mondo della comunicazione al tempo del web 2.0. Un mondo difficiile popolato da blogger che fanno come gli pare e che non debbono rendere conto a un redattore capo come accade nei giornali.
Sembrerebbe di stare in Italia e invece siamo in Francia. O forse nel mondo intero in cui un evento a Londra, che diventa di fatto la nuova capitale della gastronomia (o almeno della critica gastronomica), arriva in ogni dove. Con buona pace della guerra degli orti, delle veline, dei conti pagati o non pagati, di anonimati veri o presunti, del nuovo che avanza ma ha sempre un po’ le sembianze del vecchio che sta mandando via.