12 ritratti da Bottura a Romito passando per Cracco e Klugmann a Identità Golose
Quando Paolo Marchi, fondatore insieme a Claudio Ceroni di Identità Golose, indicò nel fattore umano il tema trainante della quattordicesima edizione del congresso gastronomico, da anni ospitato nei saloni del Mi.Co. in via Gattamelata a Milano, fu subito chiaro dove andava a parare: “anche tra dieci anni non potremo comperare la convivialità su internet”, disse ribadendo l’importanza dei rapporti personali in quel complesso meccanismo che è la ristorazione – “uno dei massimi centri di sviluppo delle relazioni umane”.
Un fattore determinante come hanno spiegato molti chef saliti sui palchi di Identità Golose.
1. Anthony Genovese
“Fattore umano che è come l’aria che respiriamo – secondo Anthony Genovese – può passare inosservato, ma è alla base di tutto. Un grande ingrediente deve ringraziare la persona che lo produce o che lo trasforma. Un grande piatto deve ringraziare il cuoco che lo ha pensato e perfezionato nel tempo. Un grande ristorante deve ringraziare le persone che ogni giorno contribuiscono a renderlo tale, in cucina e in sala“.
2. Will Guidara
Sala come quella dell’Eleven Madison Park, composta da 70 addetti, dove inevitabilmente le relazioni interne, tra membri del team, diventano importanti quanto quelle esterne, con gli ospiti: la sua squadra è il fattore umano fondamentale. “Molti dicono che l’ospitalità non si può insegnare, ma io non sono d’accordo – afferma Will Guidara, co-proprietario dell’ EMP con lo chef Daniel Humm (come vi avevamo raccontato qui) – Insegno loro a essere ospitali, ma anche a cercare continuamente l’eccellenza. Li spingo continuamente a dare il meglio, ma non sono mai scortese, non sono quel tipo di insegnante che urla tutto il tempo. Perché alla fine you get what you give, ricevi quello che dai”.
3. Josep Roca
Ed è anche la sala di Josep Roca, l’hermano extra-cucina de El Celler de Can Roca di Girona, costantemente tra i primi tre ristoranti più importanti al mondo per pubblico e critica, che nei numeri trova la chiave per spiegare quanto sia importante il fattore umano: 1000 piatti, 750 calici e 80 bottiglie vuote. Quello che resta da lavare e sbarazzare alla fine di ogni servizio per soli 50 coperti è la testimonianza più concreta di un esplicito successo, che viene sì dalla forza di una cucina mai doma e sempre d’avanguardia, ma che non può prescindere dal sorriso. Di chi prepara il cibo, di chi lo porta in tavola e di chi lo mangia. Alla fine dell’esperienza, gli ospiti devono lasciare il ristorante con la gioia dipinta sul volto, perché quello è il segno della soddisfazione e l’ospitalità raggiunge il suo fine solo se il cliente è soddisfatto.
“È necessario essere disponibili perché è brutto dire di no. L’essere umano non è mai preparato a una risposta negativa”. Una cena al Celler è un’esperienza neuro-gastronomica e la differenza la fa proprio il fattore umano di chi lavora in sala. Il punto di partenza è il benessere del personale perché chi è a contatto con il cliente deve instaurare una relazione emozionale, sempre basilare in un servizio.
4. Carlo Cracco
Personale fondamentale per Carlo Cracco, che chiama il suo Fattore Umano, i ragazzi della sua brigata «Quelli sul palco con me e quelli che oggi sono rimasti al ristorante per mantenerlo aperto. Hanno avuto tanto coraggio, e tanta pazienza».
5. Niko Romito
E ci sono le persone anche per Niko Romito, che fa iniziare il suo intervento con un video di Clarissa Cappellani raccontando in pillole l’universo Casadonna tramite le persone che quell’universo lo compongono. Ne rimarca così l’assoluta importanza, del fattore umano.
6. Moreno Cedroni
Moreno Cedroni, autore di una fantastica performance allo stand Moretti Forni con Renato Bosco e Franco Pepe che riesce sempre a stupire i clienti dei suoi ristoranti, ribadisce “Non è forse questo il fattore umano più importante per un cuoco”?
7. Maria Solivellas e Viviana Varese
Maria Solivellas e Viviana Varese, salgono sul palco in due e offrono la loro visione dell’importanza del fattore umano, in questo caso fatto di amicizia e stima professionale. Una non parla italiano, l’altra non parla spagnolo, ma si capiscono lo stesso grazie al linguaggio universale della cucina e a quello che amano compartir, condividere, ovvero l’amore per il proprio territorio e i suoi prodotti.
8. Caterina Ceraudo
Due i punti di riferimento per Caterina Ceraudo, entrambi coraggiosi, visionari.
Il primo è il padre, Roberto Ceraudo, viticoltore visionario – ha scelto il biologico quando era ancora quasi sconosciuto – e autore di vini (e oli) straordinari. Fondatore di Dattilo, il ristorante nell’azienda agricola a Strongoli; ed è stato sempre lui a capire che Caterina fosse in grado di prenderne la guida, aiutata dalla sorella Susy in sala mentre il fratello Giuseppe segue l’azienda.
“Mio padre ha regalato a noi figli il suo sogno, un sogno che oggi è di tutti noi, della famiglia ma anche di chi lavora con noi: la brigata, i fornitori, gli artigiani della zona». L’altro è Niko Romito. “Per me Niko è un grande esempio di fattore umano, non ci sono molti altri in grado di regalare il proprio sapere come fa lui. Ma il fattore umano è anche nei rapporti: tra le persone, con la natura che ha bisogno di tempo mentre oggi tutto va sempre più veloce. Per fortuna il nostro è un territorio che è rimasto lento, fatto più di prodotti che di ricette».
9. Antonia Klugmann
Per Antonia Klugmann, che l’esperienza di giudice a Masterchef ha cambiato nel modo di porgersi alla platea e l’ha resa molto ben più conosciuta, il fattore umano è “fatica, sforzo, ricerca di equilibrio e, soprattutto, quella sensibilità dei cuochi di cui non si parla quasi mai”.
10. Virgilio Martinez
Virgilio Martinez che ha parlato del menu Alturas, basato sull’altitudine a cui trova i prodotti, nel suo Central di Lima, senza l’aiuto degli “uomini” non sarebbe possibile mappare la biodiversità peruviana.
11. Enrico Crippa
Ad Enrico Crippa per far capire l’importanza che riveste per lui il fattore umano basta il titolo del suo intervento “840 minuti di quotidianità”: 840 minuti, 14 ore, quelli che ogni giorno passa insieme alla sua brigata in cucina.
12. Massimo Bottura
Spiazza tutti Massimo Bottura, che apre il suo intevento senza preavviso con un video di 20 secondi: buca i mega-schermi il volto di Milen: “Signori e signore”, illustra il ragazzo, “colgo l’occasione di spiegarvi cosa ci vuole per fare ristorazione: passione, amore, talento, silenzio, armonia assoluta, collaborazione, squadra. E l’unione fa la forza. Punto”.
Applausi e sale sul palco il capo, seguito a ruota dalla squadra quasi al completo che si dispone dietro ai fuochi. “Milen è un ragazzo del Tortellante, Associazione onlus famiglie di persone con autismo, che abbiamo assunto alla Francescana. Panifica in modo straordinario. Ogni giorno ci ricorda il valore delle cose importanti”.
Fa ruotare l’intervento attorno a un concetto importante: “Il valore del buongiorno, l’espressione che ogni giorno sottolinea papa Francesco. Ma anche il Dalai Taka”, scherza mentre sugli schermi appare stavolta Takahiko Kondo, il suo sous chef giapponese, conciato con Photoshop alla maniera del Dalai Lama. “Buongiorno significa ascoltare la quotidianità senza perdercisi dentro. L’Osteria Francescana è la somma di culture diverse. Taka viene da un paese in cui il rispetto arriva prima di tutto. La condivisione del rispetto ci permette di comprendere gli altri. Il saluto è la chiave per aprire tutte le porte. Buongiorno è il vero fattore umano”.
“Nel nostro ristorante non ci limitiamo a servire i pasti, cerchiamo un dialogo continuo tra materie e ingredienti a uno scopo: portare alla luce la bellezza. Le mura che ci contengono sono quelle di una casa e di una famiglia. Pensate alle ore che trascorriamo insieme, alla forza che occorre per sostenerla. È il fattore umano ciò che rende ognuna di queste giornate unica e irripetibile”.
“Non si può parlare di fattore umano senza parlare di squadra. – conclude – La squadra è tutto. Oggi tutti vogliono fare gli chef. Ma il fattore umano è la somma di chi lavora nei caseifici, in campagna, nelle vigne. Vincere o perdere non importa, bisogna sognare l’impossibile insieme. Per questo cerco di dare a ognuno lo spazio, un centro. Ho sempre cercato di essere allenatore di idee, dando direzioni e lasciano spazio alla creatività, senza gerarchie e spingendo su creatività e condivisione”.
Valga per tutti la chiusura di Massimo Bottura: “Ogni servizio è una finale di Champions: a volte siamo brillanti, altre meno. L’importante è essere autocritici e saper andare avanti. Vincere ogni sfida e non perdere la fiducia in se stessi. Tutto questo è nulla in confronto alla gioia di riuscirci assieme. È la soddisfazione più grande, quella di una vita vissuta appieno. E non sono soddisfazioni se non sono davvero condivise con gli altri”.
[Immagini: Brambilla – Serrani]