La pizza di Franco Pepe a Caiazzo
Si può diventare “drogati” di cibo??? Da oggi posso affermare di si…o perlomeno posso rendermi testimone dell’assuefazione ad un cibo: la Vera Pizza Napoletana. Il mio “pusher” originario è stato Maurizio Cortese che ebbe l’idea di riunire un trio esplosivo di pizzaioli partenopei a Melizzano… Galeotto fu quel giorno!
Già, perchè dopo aver assaporato tutte assieme le pizze di Enzo Coccia, Franco Pepe e Gino Sorbillo sono entrato nel tunnel di un nuovo e meraviglioso mondo, dove la pizza va oltre la concezione romana. Questa progressiva dipendenza dal “cornicione” mi ha spinto ad imprese più folli di Mr. Renton in “Trainspotting”, concentrando ben due viaggi Roma-Napoli-Roma con obiettivo “Degustazione di Pizze” da Gino Sorbillo e alla “Nuova Notizia” di Enzo Coccia. L’evento a Casa del Nonno 13 aveva momentaneamente sopito la voglia di pasta lievitata, ma l’ultima “crisi di astinenza” mi ha fatto concludere il “tris” dei pizzaioli con una visita all’Antica Osteria Pizzeria Pepe.
Franco Pepe è il prototipo dell’oste/pizzaiolo di altri tempi, dotato di una passione ed umiltà unica nel suo lavoro. Preparatevi quindi a un piacevole salto nel passato entrati nell’Osteria, a due passi dal centro della piccola Caiazzo (Caserta). Qui i tre fratelli Pepe sono custodi degli antichi sapori e metodologie del padre Francesco “Ciccio” iniziate nel 1937 che si distinguono per l’impasto fatto a mano, con tanto olio di gomito e non solo. Il risultato più evidente è l’estrema digeribilità.
Lievitazione vera di minimo 12 ore; uso della vecchia madia e delle cassette in legno per le pagnottelle in lievitazione, per assorbire l’umidità in eccesso dell’impasto; il vecchio forno a legna con la “bocca” più piccola e temperature meno aggressive, gestite con l’antico metodo dei “trucioli”; la selezione di materie prime del territorio circostante, reperite personalmente da produttori di fiducia; l’impiego di impasti e condimenti differenti a seconda della tipologia di pizza e cottura. Ecco i dettagli che potrebbero sembrare “scontati”, ma che, come spiega Franco, sono sempre più rari nello scenario moderno. L’approccio è decisamente “slow”, una piccola perla splendente nel mare inquinato delle pizzerie “fittizie”, che fa dell’amore per la tradizione e per la qualità la propria forza trainante. Stare accanto a Franco ed il suo team all’opera è un’esperienza formativa unica sulle tecniche di panificazione. La sua pizza impastata manualmente necessita di calcoli a seconda del clima e dello sviluppo della pasta, in modo da assicurare la corretta lievitazione. Un percorso, dalla stesura alla cottura, magistralmente orchestrato.
A confermarlo è il “benvenuto” di focaccia bianca servita “nature”, per assaporare al meglio il frutto di un’accurata lievitazione, in grado di accarezzare golosamente il palato e quasi scomparire per la sua leggerezza. Franco dimostra la sua attenzione nei dettagli basilari proponendomi una pizza realizzata con l’impasto delle pizze fritte, condita con silano grattugiato, pomodori secchi ed origano. Il risultato è godurioso, ma completamente diverso dal precedente. Proprio il pizzaiolo mi spiega che sono in molti ad adoperare un unico impasto per pizze fritte e normali, mentre la differenza tra le due è fondamentale: la sua base per la pizza fritta deve essere già condita con l’aggiunta di pepe e necessita di una lievitazione e di un’idratazione diversa, in modo da assorbire meno grassi possibili durante la frittura.
Dopo questa ennesima prova di cura nel proprio lavoro, è il momento di dare il giusto risalto all’impasto utilizzato “impropriamente”; ecco quindi arrivare in successione le sontuose pizze fritte in due versioni: ripiena di ricotta, pepe, cigoli, scamorza e alla “montanara” con capperi, pomodoro fresco e pecorino. Mangiare delle fritture realizzate con tale maestria è un’esperienza da perdere la testa (sorprendentemente asciutte e leggere), in particolare nella pizza ripiena, il cui cuore di ricotta, cigoli e scamorza appena filante si rivela “dose” letale per un “tossico” del mio livello. Abilità nella frittura confermata a ripetizione dalle golose “crocchè di patate” (fatte in casa secondo ricetta di famiglia), che superata la leggera panatura si sciolgono meravigliosamente in bocca.
Si passa poi ad un classico “involontario”, che stregò anche il palato di Veronelli in visita alla pizzeria: “Calzone ripeno di Scarole, olive, capperi ed acciughe”. Franco, fin troppo modesto, ancora si stupisce dei curiosi che arrivano a Caiazzo appositamente per provare il suo calzone, da lui mai pubblicizzato. Dopo averlo assaggiato però (con l’aggiunta di poca scamorza nel ripieno), posso testimoniare quanto questa specialità valga il viaggio: la cottura sapientemente gestita con l’uso dei “trucioli” di legno gettati nel forno (alimentando o riducendo la temperatura secondo necessità), mantiene la scarola croccante e perfettamente legata al resto della farcia; l’involucro esterno poi è cotto magistralmente, rimanendo soffice e ben dorato in superficie.
Altra specialità e prova riuscita di impasto e cottura si rivela la focaccia “Lucrezia”, farcita con fior di latte, scamorza, porchetta e ruchetta aggiunta all’ultimo, a dare un delizioso tocco di freschezza. Segue in crescendo, l’indimenticabile “calzone napoletano”, ripieno di mozzarella, ricotta e salame; esaltato dal pomodoro posto sulla sommità e dall’olio novello a crudo.
La leggerezza dell’impasto consente anche di provare la “regina” delle pizze di Franco, che incarna pienamente l’ottica insegnatagli dal padre, contro l’abuso di condimenti troppo ricchi in favore della semplicità. Il maestro infatti, non condivide neanche l’utilizzo della mozzarella di bufala per la sua Margherita (il latte maggiormente grasso rilasciato in cottura va ad alterare la qualità dell’impasto), e raccomanda l’uso esclusivo di un fior di latte di qualità. Personalmente continuo ad apprezzare anche condimenti che si distaccano dalla classica “pomodoro e mozzarella”, ma la Margherita di Pepe è un vero e proprio saggio sulla pizza, in particolare se abbinata alla poesia* che conserva nel locale, come simbolo della filosofia portata avanti dal padre “Ciccio”.
Si conclude con un assaggio di un piatto della memoria, proposto da Franco a rappresentare la cucina da osteria che diede origine al locale: “Soffritto” o “Zuppa Forte”. Sapori antichi, decisi e rassicuranti per questa preparazione casalinga a base di nervetti, trippa e pomodoro, ulteriore conferma dell’impiego di un’ottima materia prima.
Saluto e ringrazio il maestro consapevole di aver solo momentaneamente “sedato” la mia dipendenza dall’irresistibile cornicione, ma sono contento di aver assecondato questa mia “crisi” approdando a Caiazzo; per scoprire che anche al di fuori di Napoli la Vera Pizza Napoletana ha dei validi custodi, nell”Antica Osteria Pizzeria Pepe”.
Antica Osteria Pizzeria Pepe. Piazza Porta Vetere, 4. Caiazzo (Caserta). Tel. +39 0823.868401
* La poesia
“‘A quando sta o benessere
a gente pensa a spennere
e mo’ pure o chiù povero
o siente e cumannà.
Voglio una pizza a vongole
chiena e funghette e cozzeche
con gamberetti e ostriche
d’o mare e sta città.
Al centro poi ce voglio
n’uovo datto alla cocca
e co liquore stok
l’avita annaffià.
Quando sentenno st’ordine
ce venne cca’na stizza
pensando ma sti pizze
songo papocchie o che.
Ca se rispetta la regola
facennò a vera pizza
chela ch’è nata a Napule
quasi cient’anne fa.
Chesta ricetta antica
si chiama Margherita
ca quanno è fatta a arte
po ghi nant’a nu re.
Perciò nun e cercate
sti pizze complicate
ca fanno male alla sacca
e o stommaco patì.”