Delle 3 migliori pizzerie di Napoli per il NY Times 2 sono a Caserta
Oh gaudio, il New York Times parla delle 3 migliori pizzerie di Napoli.
Eh sì, il messaggio è chiaro: “Per un tour italiano della pizza, dirigetevi a Napoli, il luogo dove la pizza è nata”, attacca il quotidiano americano. “E dove alcuni magistrali pizzaioli hanno elevato questo umile tesoro allo status di menu degustazione”.
Uhm, interessante, ma… quali sono le 3 migliori pizzerie di Napoli?
Concettina ai Tre Santi, che trovandosi alla Sanità è, in effetti a Napoli.
Poi Pepe in Grani e I Masanielli. Pizzerie formidabili, sicuramente, peccato che non si trovino a Napoli.
Pepe in grani è a Caiazzo, minuscola cittadina di 5.000 abitanti che Napoli la guarda da nord, posata su una collina.
I Masanielli si trova a Caserta, non distante dalla Reggia settecentesca, risposta napoletana del re Carlo di Borbone a Versailles.
In altre parole, due delle tre migliori pizzerie di Napoli per il New York Times sono ubicate tra Caserta e provincia.
Il tour della pizza tra Napoli e Caserta
Per carità, agli appassionati italiani è chiaro da anni che le migliori pizzerie di Napoli, intesa come estensione territoriale, diciamo come habitat della pizza, si trovano oltre i confini geografici del capoluogo campano.
Ma il dato, di per sé, continua a impressionare. Oggi come oggi, chiunque voglia imbarcarsi in un tour delle migliori pizzerie di Napoli, come ha fatto il New York Times, deve uscire dalla città.
Non la prenderanno bene i titolari di alcune gloriose pizzerie napoletane. Per esempio: Gino Sorbillo di Sorbillo ai Tribunali, Alessandro Condurro di Da Michele a Forcella o Ciro Salvo di 50 Kalò.
Concettina ai tre Santi: la migliore pizzeria di Napoli (che, in effetti, è a Napoli)
Il viaggio di Laura Rysman, inviata in Campania del New York Times, inizia dalla pizzeria di Ciro Oliva, dunque dalla Sanità.
Un quartiere turbolento di Napoli che però la rivista Time Out ha inserito nella sua classifica dei 51 quartieri più cool del mondo.
Si dice che il miglioramento sia dovuto in buona parte al pizzaiolo napoletano. Uno scugnizzo energico e magniloquente, mai stanco di parlare della sua pizzeria ai numerosi clienti che la frequentano nel vibrante quartiere partenopeo.
“Una margherita merita rispetto come qualunque altro prodotto artigianale Made in Italy”, dice Ciro Oliva alla giornalista americana. “La mia è la versione giacca di Loro Piana della pizza”.
Il quotidiano americano spiega che, per assicurare un’esperienza Loro Piana ai suoi clienti, il pizzaiolo ha introdotto impasti particolari (utilizza farine del Mulino Caputo, la migliore secondo Altroconsumo anche a casa) e ingredienti raffinati. “Tutti a livello 10”, enfatizza Oliva schioccando le dita.
Secondo il pizzaiolo scugnizzo non manca chi ordina Champagne per accompagnare il menu degustazione, ad esempio Jacques Selosse Extra-Brut (il Briatore di Crazy Pizza potrebbe ingelosirsi).
In realtà, tutti i vicini di tavolo della giornalista americana hanno ordinato margherita e Coca-Cola.
Cosa succede di mattina in una delle migliori pizzerie di Napoli
Il New York Times descrive anche la routine mattutina di Concettina ai tre santi.
Un gruppo di pizzaioli con gli avambracci alla Braccio di ferro lavora freneticamente parti dell’impasto, che fa cadere su vassoi di legno.
Un cuoco schiaccia con le mani i pomodori San Marzano per ricavare la salsa che sistema in un secchio d’acciaio.
Sui fornelli sfrigolano le padelle piene di vongole, scarola con olive nere, friarielli accesi da una punta di peperoncino. Quindi arrivano latticini e formaggi: fior di latte, provola affumicata, poi, appena fatte e ancora calde, ricotta e mozzarella di bufala.
Quando l’inviata del giornale americano ne morde una fetta, il latte schizza fuori come se volesse esplodere. Deve aver apprezzato, perché Laura Rysman scrive: “La pizza come forma d’arte inizia qui”.
Il menu degustazione nelle pizzerie
Prima di parlare delle altre 2 migliori pizzerie di Napoli (o Caserta), soffermiamoci per un istante sulla comparsa del menu degustazione nelle pizzerie. Posti umili, un tempo.
È chiaramente un tentativo di salire di livello. La richiesta dei pizzaioli più bernoccoluti di essere assimilati agli chef presenti nella guida Michelin.
Nonostante gli standard francofili della “Rossa”, più della semplice prelibatezza, tendano a premiare la perfezione tecnica e il livello del servizio. Invece, e per fortuna, la bontà è da sempre il vero super potere italiano. Come dimostra la pizza, impossibile da migliorare.
Pepe in Grani: la migliore pizzeria di Napoli in provincia di Caserta
È il momento di dirigersi verso Caiazzo, il paesino dell’entroterra casertano dove si trova Pepe in Grani. “Con la pizza sono riuscito a portare il mondo intero a Caiazzo”, spara subito orgoglioso Franco Pepe all’arrivo dell’inviata.
In effetti, un rapido sondaggio dei commensali rivela la provenienza degli ospiti: Olanda. Norvegia. Malaysia. India. Abu Dhabi. Italia.
È probabile che sia l’effetto Chef’s Table, la serie di Netflix che ha incentrato la sua stagione più recente proprio sulla pizza, con un episodio dedicato a Franco Pepe e alla pizzeria Pepe in Grani.
“La pizza è sempre stata considerata un fast food”, dice Pepe al New York Times, “Ma la mia è una pizza Slow-Food”. Anche nei prezzi, qualche maligno potrebbe aggiungere.
“Il Maestro”, come i clienti della migliore pizzeria di Napoli (in provincia di Caserta) chiamano ossequiosi Franco Pepe, usa materie prime superbe. Rivisitando spesso ricette del passato con la perizia di un vero cuoco.
La storia di Franco Pepe
Il pizzaiolo di Caiazzo ha iniziato da adolescente facendo da assistente al padre, pizzaiolo pure lui.
Alla morte del padre, Pepe ha rilevato la pizzeria insieme ai fratelli dai quali si è separato nel 2012. Ha quindi riattato un rudere del XVIII secolo per farne la sua pizzeria, con tanto di abitazione privata subito sopra. Casa e bottega, in pratica.
Se già all’epoca gli impasti non avevano segreti, molto doveva imparare il “Maestro” su ingredienti e ricette.
Per la giornalista del New York Times è il momento degli assaggi. Inizia con la pizza fritta che racconta come un tripudio di sapori. Il resto la proietta in una specie di estasi. Ha mangiato tanto ma non rinuncia al dolce.
Ordina una Crisommola del Vesuvio, la pizza all’albicocca vesuviana di Franco Pepe. E la descrive così: “un soliloquio calibrato ad arte di ingredienti regionali che ho divorato”. Per non farsi mancare niente chiude l’abbondante pasto con gli straccetti fritti.
Differenza tra mozzarella di bufala e fiordilatte
Ecco, finalmente, l’inviata del New York Times in viaggio verso Caserta, diretta nella migliore pizzeria di Napoli (non ci abitueremo mai a questa cosa).
Ma… sorpresa. Essersi spostata da New York nel cuore della produzione della mozzarella di bufala, permette a Laura Rysman di comprendere una cosa che ancora troppi italiani ignorano (e noi ben conosciamo).
La mozzarella di bufala è la parente più grassa del fiordilatte. Vero, ha dalla sua lo storytelling accattivante e un nome facile, infatti negli Stati Uniti non conoscono la differenza. Per gli americani tutto, anche il fiordilatte, è mozzarella.
Allora ribadiamo. Il fiordilatte è il latticino fatto con il latte di mucca, detto anche vaccino. La mozzarella di bufala si produce con il latte bufalino.
Ma è il fiordilatte il prodotto principe di moltissime pizze, prima fra tutte della margherita insieme a pomodoro, olio extravergine di oliva e basilico. La mozzarella di bufala sulla pizza andrebbe utilizzata preferibilmente a crudo e in caso di cottura in forno con molta perizia.
I Masanielli: la migliore pizzeria di Napoli a Caserta
Vista da fuori la pizzeria I Masanielli, che ha preso il posto di una concessionaria d’auto con accanto un distributore, non sembra quello che in realtà è.
Ovvero il luogo in cui Francesco Martucci prepara, secondo la giornalista del New York Times, le proposte più radicali del suo pellegrinaggio per le migliori pizzerie di Napoli.
“Sono un po’ rock’n’roll, all’inizio mi consideravano un eretico per tecniche, condimenti e approccio alla pizza”, dice Martucci al quotidiano americano. “Ma volevo creare qualcosa di realmente mio”.
Le sue pizze hanno più a che fare con i ristoranti d’avanguardia che con le classiche preparazioni da pizzeria.
Le principali influenze del pizzaiolo casertano sono l’acclamato chef danese René Redzepi – “Il Noma è lo spartiacque tra il vecchio e il nuovo”, e Massimo Bottura. Il più carismatico e famoso chef italiano tre stelle Michelin.
Del resto la cucina della pizzeria, più grande di un campo da tennis, è un laboratorio da mezzo milione di euro fornito di tutto.
Non capita spesso di trovare nella cucina di una pizzeria, anche nelle migliori di Napoli, una simile attrezzatura.
Macchine sous-vide, abbattitori, disidratatori, fermentatori, liofilizzatori, 19 frigoriferi per mantenere le temperature separate e forni di ogni tipo, oltre, ovviamente, al forno a legna. La lunga stazione di frittura, tutta in acciaio inox, sembra pronta per una missione lunare.
La Guida Michelin non sa cosa si perde
Nonostante gli eccessi dei giorni precedenti, l’appetito della giornalista americana si risveglia con la prima pizza del menu degustazione. Dedicata ai clienti de I Masanielli che amano l’amaro, con ricci di mare fermentati, cicoria fermentata e ricotta alla birra.
Sapori diversi da qualunque cosa mai provata su una pizza, annota l’inviata. Anche il resto è all’insegna dell’insolito: pizze condite con confetture di prugna, alghe Kombu, topinambur cotti in modi diversi, pecorini essiccati con il miele.
“Vogliamo portare la pizza su un altro pianeta”, afferma Francesco Martucci mentre posa sul piatto l’ultimo assaggio del menu degustazione. Roba da migliore pizzeria di Napoli e oltre.
Una marinara con acciughe su purea di pomodori arrostiti al forno e pesto di aglio selvatico. L’impasto, leggerissimo, è cotto a vapore, poi fritto, quindi reso croccante con un passaggio in forno.
“La Guida Michelin non sa nemmeno quello che stiamo facendo”, chiosa Martucci, ex pizzaiolo rinnegato con t-shirt nera spolverata di farina e sorriso malizioso.
“Ma qui abbiamo aperto un nuovo percorso, ed è il futuro della pizza”.